L’ANALOGIA NEL DIRITTO TRIBUTARIO

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Non posso nascondere un certo compiacimento nell’annunciare la pubblicazione di un volume, da me curato, intitolato “L’analogia nel diritto tributario“.

La ragione del compiacimento non deriva dal mio contributo personale al lavoro – poiché, come dirò, il mio apporto “scientifico” è stato relativamente limitato – ma dal valore dell’esperimento didattico di cui questo volume rappresenta la conclusione.

L’opera, infatti, è il frutto di un lavoro di gruppo di cui sono stati protagonisti pressoché esclusivi gli studenti dell’Università di Foggia (Dipartimento di Giurisprudenza) i quali si sono incaricati di ricercare, analizzare e commentare le risposte alle istanze di interpello rese dall’Agenzia delle Entrate nell’ultimo decennio.

In particolare, l’oggetto della ricerca è stato rappresentato dalle risposte a interpello nelle quali l’Agenzia, più o meno esplicitamente, ha fatto ricorso a procedimenti interpretativi analogici o estensivi al fine di individuare la soluzione corretta ai quesiti dei contribuenti.

Il principale motivo d’interesse di questo lavoro di ricerca consiste nella possibilità di esplorare nuove modalità formative nelle quali l’apprendimento è realizzato anche mediante il diretto confronto con i problemi e il modo concreto di operare del diritto (senza rinunciare alle imprescindibili basi teoriche). 

Tuttavia, l’esperimento condotto è altresì interessante per i risultati raggiunti.

I casi selezionati e commentati dagli studenti sembrano indicare che il dibattito sull’analogia  – che dovrebbe considerarsi superato fin dal fondamentale contributo di Ezio Vanoni di oltre tre lustri or sono, ma che è ancora vivo nei manuali e nelle discussioni teoriche – pecca, in larga misura, di astrattezza perché non si confronta con la realtà interpretativa quotidiana.

Viceversa, l’analisi di quest’ultima non solo parrebbe attestare che l’interpretazione estensiva e l’analogia costituiscono parte dell’armamentario costantemente applicato dagli operatori del diritto, ma anche che l’impiego di questi strumenti è idoneo a garantire l’effettiva “operatività” del sistema tributario sempre chiamato a confrontarsi con problemi nuovi la cui soluzione non può attendere l’intervento del legislatore. Il tutto senza violare in alcun modo la riserva di legge di cui all’art. 23 Cost., perché l’analogia non è impiegata per introdurre nuovi tributi, ma per completare la disciplina di quelli esistenti la quale – per quanto vasta e articolata e, anzi, proprio in quanto tale – non riesce ad abbracciare tutti i casi concreti che si presentano nella realtà quotidiana.

Le ragioni per le quali tale propensione all’utilizzo dell’analogia si riscontra principalmente nelle risposte a interpello sono meglio spiegate nella mia introduzione.

Completano il volume, due assai pregevoli saggi del prof. Vito Velluzzi, Ordinario di filosofia del diritto presso l’Università Statale di Milano, e di Marcello Fracanzani, già ordinario di diritto amministrativo e oggi consigliere presso la Corte Suprema di Cassazione.

 

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