LEZIONI SUI POTERI CONOSCITIVI NEL DIRITTO TRIBUTARIO – Lezione 4

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I principi di diritto unionale


1. L’ulteriore limitazione dell’interesse di ciascuno Stato nell’ambito dell’Unione Europea

1.1. L’interesse comune degli Stati membri alla prevenzione dell’evasione

L’evoluzione che si è registrata a livello del diritto internazionale – della quale si è dato conto nella precedente lezione – è ovviamente ulteriormente accentuata nel contesto dell’Unione Europea.

La ragione di questa accentuazione deriva da tre fattori.

Il primo è costituito dal fatto che gli Stati membri che, eventualmente, tollerassero o, addirittura, agevolassero la violazione delle regole fiscali di altri Stati membri – realizzando ciò che si suole definire “concorrenza fiscale” o “tax competition” – finirebbero per alterare le regole della concorrenza in senso lato.

Invero, il fenomeno che maggiormente preoccupa, a livello unionale, è l’evasione (o le pratiche di “pianificazione fiscale aggressiva”) poste in essere dalle imprese. Ed è chiaro che il risparmio fiscale conseguito da un’impresa determina anche una maggiore (artificiosa) competitività della stessa in quanto le consente di praticare prezzi o condizioni di vendita che sono invece precluse alle imprese “virtuose”.

Poiché la concorrenza è certamente un valore tutelato dal diritto unionale, la concorrenza fiscale è, sia pure indirettamente, un fenomeno che pregiudica tale valore: si parla, infatti, di harmful tax competition, ossia di concorrenza fiscale dannosa.

Il secondo fattore è che, com’è ovvio, le pratiche evasive o di pianificazione fiscale aggressiva di ciascuna impresa determinano una riduzione del gettito fiscale per lo Stato che le subisce – ossia per lo Stato a favore del quale, in assenza di tali pratiche, le medesime imprese dovrebbero pagare maggiori imposte.

La riduzione del gettito, a sua volta, pregiudica l’equilibrio di bilancio degli Stati i quali, a parità di spesa, devono ricorrere in misura maggiore all’indebitamento. Poiché la moneta unica (l’Euro) determina un interesse comune degli Stati all’equilibrio di bilancio, essi condividono anche, quale necessaria conseguenza, l’interesse comune alla integrità dei sistemi fiscali di ciascuno Stato membro (e non solo del proprio).

Infine, fra le imposte oggetto di possibile evasione vi sono l’IVA e le accise in quanto imposte armonizzate. Rispetto a queste imposte, proprio perché disciplinate dall’Unione Europea, vi è quindi un interesse diretto dell’Unione medesima a prevenire e reprimere l’evasione. Ma poiché i comportamenti evasivi dell’imprese in materia di IVA e di accise sono spesso connessi a condotte evasive relative ad altri tributi è ovvio che, nella misura in cui vi è l’interesse comune a prevenire il primo tipo di azioni, vi è anche il medesimo interesse a contrastare le azioni del secondo tipo.

1.2. La direttiva 2011/16/UE

È in questo contesto che si inserisce la Direttiva 2011/16/UE che ha sostituito un’analoga direttiva del 1977.

Il contenuto specifico di tale direttiva sarà analizzato più oltre. In questa sede è sufficiente evidenziare, innanzi tutto, che lo scambio d’informazioni disciplinato da tale direttiva trova il suo fondamento giuridico, in questo caso, non già in un accordo bilaterale – come avviene a livello internazionale – ma in un atto normativo a carattere generale che coinvolge tutti gli Stati membri dell’Unione.

In secondo luogo, occorre richiamare l’attenzione sui principi informatori della direttiva enunciati nei “considerando” e costituenti la premessa alla parte specificamente normativa della stessa. Invero, tali considerando esprimono in termine molto chiari i valori dell’Unione cui la direttiva si ispira e conferma quanto si è osservato in precedenza circa l’evoluzione dei principi di fondo della fiscalità internazionale, in generale, e dell’Unione Europea, in particolare.

Il primo “considerando” pone in rilievo l’importanza della globalizzazione sottolineando come, per effetto di essa, «la necessità per gli Stati membri di prestarsi assistenza reciproca nel settore della fiscalità si fa sempre più pressante».

Il secondo “considerando”, poi, sottolinea che, in un contesto globalizzato, uno «Stato membro non può gestire il proprio sistema fiscale interno, soprattutto per quanto riguarda la fiscalità diretta, senza ricevere informazioni da altri Stati membri».

Il terzo “considerando” trae le conclusioni delle precedenti considerazioni affermando che «È opportuno pertanto adottare un approccio totalmente nuovo elaborando un nuovo testo che conferisca agli Stati membri la competenza necessaria per cooperare in modo efficace a livello internazionale al fine di ovviare agli effetti negativi sul mercato interno di una globalizzazione in continua espansione».

In altri termini, il fondamento dello scambio d’informazioni, secondo la disciplina contenuta nella direttiva – che, come vedremo, è particolarmente incisiva – è dato dall’interesse di ciascuno Stato membro – e, quindi, di tutti gli Stati membri – a che i vari sistemi fiscali coinvolti siano tutelati. E, poiché l’interesse è comune, anche la tutela dello stesso deve essere perseguita in comune.

Si supera totalmente, in questo modo, l’idea “egoistica” dell’interesse nazionale che era, invece, alla base della revenue rule.

2. Altri valori comunitari

2.1. La Convenzione europea sui diritti dell’uomo

L’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea (TUE) sancisce che «I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali».

L’appartenenza all’Unione Europea implica, pertanto, che, nell’applicazione del diritto unionale devono essere osservati “in quanto principi generali” i «diritti fondamentali» garantiti dalla predetta Convenzione.

La Convenzione tutela, fra l’altro, i diritti alla libertà individuale (art. 5), alla vita familiare, al domicilio e alla corrispondenza (art. 8).

Per effetto dell’incorporazione di tali principi nel diritto unionale, ciascuno Stato membro, nell’applicare il diritto dell’Unione Europea, dovrà quindi offrire – unitamente alle garanzie previste dal proprio ordinamento interno – anche quelle che derivano dei principi generali dell’Unione.

Non sembra, tuttavia, che la tutela di tali diritti sia maggiore o più rigorosa di quella garantita, almeno in astratto, dalla nostra Costituzione. In particolare, è assente la previsione della riserva di giurisdizione, cosicché i principi unionali, da questo punto di vista, risultano idonei a introdurre ulteriori limiti ai poteri conoscitivi rispetto a quelli già presenti nel nostro ordinamento.

2.2. Il contraddittorio

Fra i diritti tutelati dalla CEDU vi è quello della difesa, o per meglio dire, il diritto di ciascuno a poter contraddire, dinanzi a un giudice terzo e indipendente, le contestazioni altrui (art. 6).

La previsione di tale diritto non ha rivestito grande rilievo per l’ordinamento tributario perché giudici di Strasburgo hanno sempre ritenuto che la regola contenuta nell’art. 6 della CEDU riguardasse solo le controversie civili e penali e non quelle tributarie giudicate dai medesimi quale “il nucleo duro” (e, come tale, inattaccabile) della sovranità statuale.

Il recepimento dei principi della CEDU nell’ordinamento unionale ha, in parte, modificato tale situazione in quanto la Corte di Giustizia ha ritenuto in più occasioni (fra le quali ha particolare importanza la sentenza 18.12.2008, Sopropè, C-349/07) che proprio nell’ambito delle attività d’indagine il diritto al contraddittorio trovasse specifica tutela anche in materia tributaria, attesa una supposta affinità fra l’attività di indagine e quella diretta all’applicazione di sanzioni (le quali sono, a loro volta, generalmente assimilate alla materia penale).

Quantomeno rispetto ai tributi armonizzati il contraddittorio risulta specificamente tutelato dai principi unionali, anche se resta dubbio se tale garanzia debba necessariamente essere inserita anche nella fase endoprocedimentale oppure possa essere offerta anche solo in sede giurisdizionale. E i dubbi, a tale riguardo, sono sempre originati, secondo quanto si è già rilevato, dalla ambigua configurazione di tale garanzia ossia se essa svolge una funzione esclusivamente difensiva (nel qual caso è possibile limitare la tutela alla fase giurisdizionale) oppure se la sua funzione sia quella di assicurare una migliore conoscenza e valutazione dei fatti nell’ambito di un’attività partecipata.

Non è quindi pacifico che, anche sotto tale profilo, la garanzia del contraddittorio a livello unionale influisca in modo determinante nella conformazione dei poteri conoscitivi.

2.3. Il principio di proporzionalità

L’ordinamento unionale valorizza anche il principio di proporzionalità, ossia la regola dell’agire amministrativo secondo la quale la pubblica amministrazione deve esercitare i poteri di cui è titolari con l’intensità e nelle forme che siano strettamente necessarie al conseguimento degli obiettivi prefissati e ciò al fine di realizzare la compressione delle libertà riconosciute e tutelate dall’ordinamento che non ecceda quanto è indispensabile per il raggiungimento dello scopo.

Tale principio è particolarmente avvertito a livello unionale e ha rivitalizzato anche il dibattito dottrinale e giurisprudenziale sul tema.

Tuttavia, anche a questo riguardo, si deve osservare che, almeno per quanto attiene ai poteri conoscitivi, sembrerebbe escluso che la tutela derivante dall’operare dei principi unionali sia maggiore o più intensa rispetto a quella comunque ricavabile dall’art. 97 Cost.

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