LEZIONI SUI POTERI CONOSCITIVI NEL DIRITTO TRIBUTARIO – Lezione 2
Tempo di Lettura: 12 minutiI principi costituzionali
1. Considerazioni introduttive
L’attività di controllo si svolge, in larga misura, attraverso il compimento di atti unilaterali, ossia di atti che producono i loro effetti senza il (e indipendentemente dal) consenso dei soggetti nei cui confronti tali atti sono diretti. Com’è noto la situazione soggettiva propria di chi ha la possibilità di incidere nella sfera giuridica altrui senza il consenso di questi si definisce potere.
In altri termini, lo Stato-apparato e i relativi uffici preposti all’attività di controllo, sono muniti di “poteri” rispetto ai quali i singoli consociati si trovano in una condizione di soggezione.
La titolarità di tali poteri (e la correlativa condizione di soggezione) implica, necessariamente, una limitazione della libertà e dell’autonomia dei consociati.
Tuttavia, siffatta limitazione non è in conflitto con la Costituzione della Repubblica Italiana, perché, come si è detto, l’attività di controllo e i poteri necessari per il suo svolgimento sono una conseguenza diretta e indispensabile dell’esistenza del dovere tributario. Il potere tributario è, cioè, posto a tutela di un valore fondamentale della collettività – l’osservanza del dovere tributario che, a sua volta, è espressione del dovere di solidarietà civile il cui adempimento è richiesto a tutti i consociati dall’art. 2 Cost. – ed è, in quanto tale, legittimo.
Per meglio dire è legittima, in sé, la legge che attribuisce allo Stato apparato e alle sue articolazioni tale potere. È indubbio, infatti, che tali poteri devono avere una base legale, essendo ciò un portato del principio di legalità. Al tempo stesso, la legge attributiva di tali poteri (sebbene determini una compressione della sfera giuridica di coloro a carico dei quali essa determina una condizione di soggezione) non solo non è in contrasto con la Costituzione, ma anzi la Costituzione stessa la presuppone: implicitamente e, come vedremo, esplicitamente.
Questo non significa, però, che il contenuto della legge costitutiva del potere attribuito agli uffici non incontri, nella costituzione stessa, alcuni limiti.
Nel momento in cui il potere (e la legge che lo disciplina) entra in un rapporto di tensione con altri valori dell’ordinamento, è necessario operare un “bilanciamento”, ossia verificare, volta per volta, quale valore è prevalente e quale è, invece, recessivo, nonché la misura in cui l’uno prevale e l’altro recede.
Tale bilanciamento è talvolta operato dalla Costituzione o da altra norma di vertice dell’ordinamento, altre volte dal legislatore ordinario, altre volte ancora è rimesso all’interprete.
2. Il potere conoscitivo e la libertà individuale
Il diritto che il nostro ordinamento tutela in modo più intenso è certamente la libertà individuale. Si tratta del primo diritto che è enunciato nella Costituzione ed è l’unico (nella triplice declinazione di cui diremo) a essere qualificato come “inviolabile”.
La sua importanza è tale che la Costituzione dedica alla libertà individuale tre articoli distinti, in ciascuno dei quali è declinato uno dei profili che, insieme, concorrono a definire tale libertà: l’art. 13 sancisce l’inviolabilità della libertà della persona, l’art. 14 quella del domicilio, l’art. 15 quella della corrispondenza.
In altri termini, la libertà dell’individuo è tutelata sotto il profilo del diritto di ogni persona di non subire limitazioni nei propri movimenti e non veder violata la propria sfera fisica; sotto il profilo del diritto a proteggere l’intimità dei luoghi in cui risiede e sotto quello di poter intrattenere relazioni individuali a distanza con altre persone.
Per quanto inviolabile, tale libertà non è assoluta perché gli stessi articoli che la proclamano prevedono che essa possa subire delle compressioni stabilendo i casi e le modalità in cui ciò può avvenire.
Per quanto riguarda la libertà personale (art. 13 Cost.), la sua limitazione è soggetta a una rigorosa riserva di legge (ossia è solo la legge che può determinare in quali occasioni le persone possono essere detenute o possono subire delle perquisizioni) e a una altrettanto rigorosa riserva di giurisdizione (nei casi previsti dalla legge, il provvedimento restrittivo della libertà può essere adottato solo dai giudici). La riserva di giurisdizione (non quella di legge) può, a sua volta, essere derogata in casi di eccezionali di necessità e urgenza al ricorrere dei quali, quindi, la limitazione della libertà può avvenire senza un previo provvedimento dell’autorità giudiziaria. Ma, in questo caso, il provvedimento giurisdizionale deve comunque intervenire entro quarantotto ore per convalidare la misura restrittiva.
Per quanto riguarda la libertà domiciliare (art. 14 Cost.), valgono gli stessi principi: riserva di legge per l’individuazione in astratto delle ipotesi in cui il domicilio può essere violato e riserva di giurisdizione per determinare in concreto, nelle ipotesi previste dalla legge, le misure applicabili. Il terzo comma dell’art. 14 è assai importante ai nostri fini, perché prevede la possibilità di limitare (sempre nei casi previsti da “leggi speciali”) la libertà domiciliare ai “fini fiscali”.
Infine, l’art. 15 Cost. sancisce la libertà e la segretezza della corrispondenza (da intendersi nel senso di libertà di trasmettere riservatamente a soggetti individuati il proprio pensiero con mezzi di comunicazione “a distanza”). Anche in questo caso, è prevista la riserva di legge, per l’individuazione dei casi in cui la libertà e la segretezza della corrispondenza può essere limitata, nonché la riserva di giurisdizione, in quanto là dove la legge lo preveda in astratto, il concreto provvedimento limitativo della libertà e della segretezza della corrispondenza può essere adottato solo previa autorizzazione del giudice.
Due sono le principali considerazioni che devono essere fatte al riguardo, per quanto d’interesse in questa sede.
La prima è che fra i motivi che la legge può individuare come valida giustificazione per limitare il diritto individuale sulla propria persona, all’intangibilità del proprio domicilio e alla libertà di corrispondere riservatamente, vi è certamente quello di tutelare l’interesse fiscale. L’art. 14 Cost. parla espressamente di limitazioni ai “fini fiscali” da regolarsi mediante leggi speciali. Ma non è dubbio che i medesimi fini possono giustificare, se la legge lo prevede, una compressione della libertà individuale e della libertà e segretezza della corrispondenza.
L’importanza del riferimento ai “fini fiscali” è che esso conferma quanto si è detto in precedenza, ossia che la stessa Costituzione presuppone l’esistenza (ossia l’attribuzione per legge) di un potere dei pubblici apparati funzionale al controllo della corretta osservanza dei doveri tributari.
La seconda considerazione è che il potere di realizzare tali limitazioni in concreto spetta solo al giudice.
La legge può, detto altrimenti, attribuire ad altri soggetti o organi dello stato la cura di quegli interessi fiscali che possono legittimare la limitazione delle tre libertà predette. Ma questi soggetti non possono essere direttamente titolari del potere di volere essi stessi e di realizzare con un proprio atto di volontà la compressione delle libertà suddette. Gli organi diversi dal potere giudiziario possono eseguire materialmente gli atti limitativi della libertà individuale, ma l’autorizzazione (ossia la competenza ad effettuare la scelta) spetta solo ai giudici (con atto motivato).
Merita sottolineare, infatti, che, in termini generali, là dove il titolare di un potere possa esercitarlo solo se autorizzato da un altro soggetto, il reale titolare del potere è quello che autorizza, non quello che opera previa autorizzazione.
Gli unici casi in cui il potere di comprimere le libertà inviolabili è attribuito all’autorità amministrativa sono quelli degli interventi in materia di libertà domiciliare e, nei limiti dei soli provvedimenti d’urgenza, quello dei provvedimenti restrittivi della libertà personale. Nessun potere analogo – per espressa e consapevole scelta degli autori della Costituzione – è previsto nel caso della libertà di corrispondenza.
Si deve aggiungere, inoltre, che dalle norme costituzionali appena passate in rassegna – la cui importanza sarà più chiara anche nel prosieguo – emerge che, fra le funzioni tipicamente attribuite dalla Costituzione alla magistratura, vi è quella di emettere i provvedimenti limitativi della libertà personale, domiciliare e di corrispondenza.
Al quesito – spesso sollevato in dottrina – se i provvedimenti dei giudici abbiano natura giurisdizionale o amministrativa, non si può rispondere altrimenti che essi hanno natura giurisdizionale, se con tale termine si intende indicare un atto tipico della funzione propria della magistratura. Essi, tuttavia, non sono atti propri della giurisdizione intesa come “processo”.
In sintesi, quindi, si deve dire che:
- le esigenze conoscitive proprie della funzione fiscale hanno un rilievo costituzionale così elevato da legittimare, secondo le previsioni della lege, anche la compressione delle libertà inviolabili della persona, del suo domicilio e della sua corrispondenza;
- a tale fine sono attribuiti specifici “poteri”;
- la titolarità di tali poteri è attribuita solo ai giudici;
- altri soggetti possono solo applicare in concreto i provvedimenti emessi dal titolare del potere (ossia dai giudici);
- tale regola soffre un’eccezione nei casi della libertà domiciliare e, nei casi d’urgenza, della libertà personale.
3. Poteri conoscitivi, diritto di proprietà e libertà di iniziativa economica
I poteri conoscitivi possono entrare in conflitto anche con i diritti che attengono alla sfera economica individuale: in particolare, la libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.) e il diritto di proprietà (art. 42 Cost.).
La differenza che intercorre fra il caso prima esaminato (quello del rapporto fra interesse ordinamentale all’attuazione dei tributi e diritti della personalità) e quello ora in esame (ossia quello in cui tale rapporto coinvolge, come diverso termine di riferimento, la sfera dei diritti economici e patrimoniali) è netta.
Nel primo caso, come abbiamo visto, la Costituzione non nega che l’interesse ordinamentale all’attuazione dei tributi possa prevalere sulla libertà individuale, ma s’incarica essa stessa di operare, come avevamo accennato, il bilanciamento fra i due termini del rapporto. Un bilanciamento che viene realizzato attraverso la prescrizione della duplice riserva (di legge e di giurisdizione).
Nel caso che ci accingiamo ad esaminare, invece, la Costituzione non opera tale bilanciamento che deve essere realizzato in sede interpretativa, ossia valutando e soppesando il diverso valore che, nel nostro ordinamento, così come prefigurato nel disegno costituzionale, è proprio dell’interesse all’attuazione dei tributi e delle predette libertà economiche.
Al riguardo, la soluzione è stata rinvenuta da una celebre sentenza della Corte Costituzionale (Corte Cost., sent. n. 51 del 18 febbraio 1992) la quale – muovendo dalla considerazione secondo la quale, per un verso, la Costituzione garantisce la liberà di iniziativa economica e il diritto di proprietà sempre che siano orientati a «fini di utilità e di giustizia sociale» e, per l’altro, che le violazioni delle norme tributarie comporta «la rottura del vincolo di lealtà minimale che lega fra loro i cittadini e comporta, quindi, la violazione di uno dei “doveri inderogabili di solidarietà”» – ha desunto da ciò il principio per cui alla tutela dei predetti diritti non si può «applicare il paradigma di garanzia proprio dei diritti di libertà personale» cosicché il legislatore, nella sua discrezionalità, può anche introdurre limiti ai poteri conoscitivi funzionali alla tutela della libertà di iniziativa economica o dei diritti patrimoniali, ma tali limiti «non possono spingersi fino al punto di fare di quest’ultim[i] [ossia dei diritti patrimoniali] un ostacolo all’adempimento di doveri inderogabili di solidarietà».
In altri termini, secondo questo orientamento, i limiti alla discrezionalità del legislatore opererebbero in senso opposto a quello prefigurato per la libertà personale: in quel caso, infatti, la Costituzione segna un limite oltre il quale la libertà personale non può essere compressa; nel caso in esame, invece, la Costituzione impone un limite minimo, ossia esclude che il potere conoscitivo possa essere eccessivamente compresso a fronte degli interessi dei privati alla salvaguardia della loro sfera patrimoniale o della loro libertà d’iniziativa economica.
4. Poteri conoscitivi e l’art. 97 Cost.
La legge che fonda i poteri conoscitivi deve poi osservare l’art. 97 Cost. il quale impone che lo svolgimento di ogni funzione amministrativa avvenga nel rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento.
L’imparzialità, invero, è un carattere fondamentale dell’azione amministrativa che però assume un valore assolutamente centrale ogni qual volta l’amministrazione stessa è chiamata a esercitare poteri discrezionali, ossia poteri che implicano la ponderazione di interessi e la capacità di scegliere quale interesse promuovere e quale interesse considerare recessivo.
Nell’esercizio dei poteri conoscitivi è dubbia l’esistenza di profili di discrezionalità che, ove pure esistenti, sarebbero comunque marginali.
In prevalenza, i poteri conoscitivi e di controllo rientrano nell’area dell’attività vincolata dell’amministrazione. La quale è pur sempre soggetta al principio di imparzialità, che però tende a coincidere con il principio di legalità, nel senso che i poteri non possono essere ovviamente esercitati al di fuori dei casi previsti dalla legge per finalità diverse da quelle stabilite dall’ordinamento. È ovvio, peraltro, che, in questo contesto, i poteri conoscitivi non possono essere esercitati in modo discriminatorio
La formula “buon andamento”, a sua volta, è molto elastica perché indica una regola di organizzazione della quale è definito solo l’obiettivo, consistente nello svolgimento dell’attività (l’andamento) nel modo migliore possibile (buono). Ma è evidente che la nozione di “buono” è variabile e dipende da molte circostanze e dai valori predominanti. Soprattutto, la regola del buon andamento non impone necessariamente di raggiungere un livello di “bontà” minimo, cosicchè essa definisce una tendenza (un obiettivo), ma non stabilisce una soglia ottimale al di sotto della quale la legge possa considerarsi posta in violazione del dettato costituzionale.
Secondo la concezione prevalente, il buon andamento comprende uno svolgimento dell’azione amministrativa che sia “efficace” – ossia idoneo a conseguire effettivamente gli obiettivi – nonché “economica” – ossia in grado di conseguire gli obiettivi con il miglior rapporto costi/benefici – e “proporzionale” – nel senso che ogni forma di compressione dell’altrui sfera giuridica dovrà essere contenuta nei limiti di quanto necessario al raggiungimento degli obiettivi.
In questo quadro, si inserisce il tema del “contraddittorio”
In termini generalissimi, si può dire che il “contraddittorio” è (ovviamente, là dove sia previsto e disciplinato) una fase preliminare o preparatoria a un giudizio o a una decisione.
La funzione di tale fase è quella di consentire che il giudizio (di fatto, estimativo, di diritto) sia formulato o che la decisione sia presa mediante il confronto fra opinioni diverse.
Il presupposto metodologico di carattere generale da cui si muove è che – per restare al campo del diritto – tanto il giudizio sull’esistenza dei fatti passati, quanto la loro “sussunzione” nello schema normativo, quanto, infine, l’individuazione del significato della norma sono, necessariamente e costantemente, fenomeni coinvolgenti la partecipazione psicologica del soggetto cui spetta formulare il giudizio medesimo.
Il giudizio in ordine a tali elementi (il fatto, il suo rapporto con lo schema normativo, la definizione della norma) non è mai oggettivo e, soprattutto, non può fondarsi su elementi scientificamente dimostrabili.
Poiché, quindi, il giudizio è soggettivo, esso può essere affinato e perfezionato attraverso il confronto con opinioni diverse.
Nei procedimenti giurisdizionali – e, in generale, là dove la decisione serve a risolvere una lite ed è rimessa a un soggetto terzo e indipendente rispetto ai contendenti – il contraddittorio ha, oltre al presupposto di carattere generale di cui si è detto, un ulteriore presupposto specifico, costituito dal fatto che la lite stessa implica una diversa valutazione della questione da parte dei soggetti coinvolti. Conseguentemente, la tutela costituzionale del diritto della difesa impone che ciascuno dei soggetti abbia la possibilità di influire sul giudizio del terzo, ossia sui processi psicologici che fondano la sua opinione circa i profili controversi della lite. Altrimenti detto, il contraddittorio, unitamente alla funzione conoscitiva di carattere generale, svolge, là dove sia strumentale alla definizione di una controversia, anche un’ulteriore funzione di tipo più propriamente “difensivo”. Anche in questo settore, il valore del contraddittorio si presenta però graduato essendo massimo là dove vige il principio di non contestazione il quale implica che lo spazio entro cui si può muovere l’”opinione” del giudicante (circa i fatti) è più rigorosamente condizionato dall’esistenza di un contrasto di opinioni fra i litiganti, cosicché il contraddittorio serve tanto a influire sulla conoscenza del giudice, quanto a delimitare l’ambito in cui essa può legittimamente esplicarsi.
Nei procedimenti amministrativi si deve considerare che, per un verso, non vi è una necessaria contrapposizione di interessi, in quanto la funzione pubblica è per definizione metaindividuale e i soggetti che ne sono titolari non sono portatori di interessi “propri”; per altro verso, il contraddittorio dovrebbe intervenire prima che l’opinione del soggetto pubblico si sia formata e quindi in una fase anteriore rispetto alla nascita di una vera “controversia”.
In questa prospettiva, il carattere “difensivo” del contraddittorio è certamente meno accentuato anche se non del tutto assente. D’altra parte, questo profilo del contraddittorio dipende anche dalla specifica disciplina giuridica che esso assume e alla sua collocazione nel complesso dispiegarsi della funzione amministrativa.
Per esempio, a livello di principi dell’Unione Europea, l’art. 41, comma 2, della Carta dei Diritti fondamentali dell’UE, sancisce “il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio”, così accentuando il profilo difensivo del contraddittorio. Viceversa, l’art. 9 della l. n. 241/1990 sul procedimento amministrativo sembra prevedere una partecipazione maggiormente orientata alla tutela degli interessi generali di correttezza, buon andamento e imparzialità.
L’affermazione del contraddittorio nell’ambito dei procedimenti tributari è conquista recente e non ancora completa.
Al di là di non pochi sviluppi interpretativi e normativi che consentono oggi di ritenere più saldamente affermato il principio del contraddittorio, è comunque necessario sottolineare la persistente incompletezza della disciplina in quanto, seppure oggi sembra affermarsi l’idea del contraddittorio quale principio generale, nei singoli procedimenti esso appare ancora disciplinato in modo frammentario e disomogeneo, con evidenti lacune rispetto a taluni “tipi” di procedimento o ai procedimenti relativi a taluni tributi.
La frammentazione e disomogeneità delle singole regole non costituisce un ostacolo, in sé, alla ricostruzione, in sede interpretativa, di una disciplina complessiva e unitaria, eventualmente conformata diversamente in ragione della particolarità del procedimento.
Per giungere a questo risultato, si deve però riconoscere l’esistenza di un principio generale che renda necessario il contraddittorio nei procedimenti tributari.
Tale riconoscimento ha stentato a farsi strada nel nostro ordinamento, vuoi a causa dei maggiori oneri che il contraddittorio pone a carico dell’amministrazione, vuoi perché l’affermazione del principio del contraddittorio orienta verso un concezione di “garanzia” del contribuente fondata sulla “responsabilizzazione” la quale, pertanto, può anche risultare maggiormente efficace, ma esige un più intenso impegno e un più elevato grado di trasparenza da parte dei soggetti coinvolti.
Cosicché, invece di muoversi verso il superamento della disomogeneità e della frammentazione, si è fatto leva proprio su tali caratteri, emergenti dal dato normativo, per desumerne, a contrario, l’inesistenza di un principio generale di contraddittorio.
Di recente, invero, la giurisprudenza della Cassazione, dopo aver riconosciuto la portata assai rilevante, anche in termini di conseguenze, dispiegata dall’art. 12, c. 7, l. 212/2000 (Cass. SS.UU., 18184/13), sembrava voler muoversi verso l’enunciazione di un principio generale, in particolare affermando l’esigenza del contraddittorio in materia di adozione di provvedimenti di iscrizione ipotecaria (Cass. SS.UU., 19667/14).
Tuttavia, preso atto dell’impegnatività del percorso intrapreso, la sezione tributaria della Cassazione ha ritenuto di investire della questione le sezioni unite (Ord. 527/2015). Ne è seguita una sentenza delle sezioni unite della Corte Suprema che si connota per la sua particolare “timidezza” (Cass. SS.UU. 24823/2015).
I giudici di legittimità hanno sostanzialmente ritenuto insussistente un principio generale sulla base dell’argomento per cui “il complementare compenetrarsi delle due riportate discipline (quella sul procedimento amministrativo e quella sul procedimento tributario) comporta che la ricorrenza, in campo tributario, di una pluralità di norme che prescrivono il contraddittorio endoprocedimentale in rapporto ad atti specifici lungi dal poter assurgere ad indice dell’esistenza, nell’ordinamento tributario, di una clausola generale di contraddittorio endoprocedimentale-assume, ineludibilmente, la valenza opposta”. Il che equivale sostanzialmente ad affermare – in palese contrasto con una mole assai ingente della giurisprudenza della Cassazione – l’insuperabilità del dato positivo, ossia che la Cassazione non può altro che emettere giudizi scevri da qualsiasi valutazione di ordine sistematico ed evolutivo, là dove risulti che il legislatore non ha espressamente posto alcuna regola e ciò indipendentemente da qualsiasi valutazione in ordine alla episodicità, coerenza sistematica, organicità ecc. degli interventi normativi medesimi. E’, insomma, come se la Cassazione avesse enunciato il principio per cui il diritto positivo, per il solo fatto di esistere in un certo modo, è intrinsecamente razionale.
Questa impostazione – che appunto contraddice frontalmente il diverso orientamento dalla stessa seguito in altre occasioni – giustifica ampiamente l’ordinanza (CTR Toscana, Ord. 736/1/2015) di remissione alla Corte costituzionale con la quale la Commissione tributaria regionale della Toscana ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del “diritto vivente” siccome interpretato dalla sentenza delle sezioni unite pronunciata pochi giorni prima.
Emerge, in questo modo, che il tema del contraddittorio è ancora certamente in fase di evoluzione e che è lecito attendersi, su questo fronte, talune significative novità.