LEZIONI SUI POTERI CONOSCITIVI NEL DIRITTO TRIBUTARIO – Lezione 8

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La disciplina dell’attività relativa ad accessi, ispezioni e verifiche

1. Premessa

Come abbiamo già detto, i termini “accesso, ispezione e verifica” individuano, non solo nel linguaggio comune, ma anche nella stessa disciplina normativa, tanto l’ordine per effetto del quale si costituiscono le situazioni soggettive passive delle quali abbiamo parlato e che consentono l’accesso in determinati locali o l’acquisizione di determinati oggetti, quanto le attività che i funzionari dell’Agenzia delle Entrate e i militari della Guardia di Finanza svolgono in conseguenza dell’emanazione di tali ordini e della loro esecuzione.
Infatti, gli ordini di accesso, ispezione e verifica sono strumentali allo svolgimento di tali attività, che sono le attività conoscitive vere e proprie.
Questa circostanza giustifica ampiamente l’utilizzazione dei termini suddetti in tale duplice accezione.
Tuttavia, i due significati vanno tenuti distinti se, invece, si vuole individuare e definire adeguatamente la relativa disciplina.
Infatti, la disciplina di accesso, ispezione e verifica (intesi come ordini) è distinta da quella propria delle attività che vanno sotto il medesimo nome.
Avendo già trattato della disciplina degli ordini, passiamo ad esaminare quella delle attività.
A questo proposito è opportuno però premettere che talune delle disposizioni che saranno richiamate si riferiscono, testualmente, solo alle verifiche svolte presso i locali che siano sede di un’attività professionale o d’impresa.
In effetti, specialmente l’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente è diretto a offrire una specifica garanzia alle attività economiche. Tuttavia, si deve rilevare che, come abbiamo visto, l’attività economica gode, nel nostro sistema, di una tutela meno intensa, per definizione, rispetto a quella propria dei diritti di libertà. Conseguentemente, salvo che la ratio della disposizione deponga univocamente nel senso che la relativa disciplina è pertinente alle sole attività d’impresa, si deve ritenere che la tutela offerta a queste ultime deve essere estesa e operare, a fortiori, anche là dove la verifica si risolva nella compressione delle preminenti libertà individuali.

2. La disciplina temporale 

Sotto il profilo temporale, l’attività di accesso, ispezione e verifica (che, d’ora in poi indicheremo più semplicemente con il nome di verifica) trova un’ampia disciplina che coinvolge una pluralità di aspetti.
In primo luogo, è disciplinato il momento nel quale l’attività può essere svolta. L’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente prevede, infatti, che le verifiche devono essere svolte durante il normale orario di esercizio dell’attività.
È da segnalare, tuttavia, che questa regola è derogata per il caso di accesso presso gli operatori finanziari in quanto l’art. 33, comma 4, stabilisce che l’accesso deve avvenire in orari diversi da quelli «di sportello aperto al pubblico».
Sebbene le due norme contengano prescrizioni di contenuto opposto, la loro ratio è la medesima. In entrambi i casi s’intende limitare al massimo l’interferenza delle verifiche con l’esercizio dell’attività d’impresa. Ciò che cambia è la soluzione che si è data al problema: per le normali attività d’impresa l’interferenza è limitata facendo coincidere l’accesso con gli orari di ordinario esercizio dell’attività; per le imprese finanziarie, il medesimo limite è rinvenuto evitando che l’attività d’impresa e quella di verifica siano temporalmente coincidenti.
In secondo luogo, il medesimo art. 12 prevede una durata massima delle attività di verifica. Queste, infatti, non possono essere protratte per più di trenta giorni, prorogabili di ulteriori trenta giorni per le imprese di maggiori dimensioni ovvero per oltre quindici giorni prorogabili di ulteriori quindici giorni per le imprese in contabilità semplificata. Nel secondo caso i quindici giorni – che, al pari del più lungo periodo di trenta giorni, possono essere non consecutivi – devono essere contenuti in un trimestre. Nel caso di imprese di maggiori dimensioni, invece, i giorni possono essere distribuiti in un arco temporale indeterminato.
La differenziazione così posta, relativamente alla durata della verifica, fra imprese di maggiori e minori dimensioni pone il problema di quale sia la regola applicabile alle verifiche nel domicilio del contribuente, ossia là dove la verifica non interferisca con l’attività d’impresa, ma con la (costituzionalmente assai più tutelata) libertà di domicilio. Sembrerebbe, infatti, che, proprio perché l’estensione temporale è una mera conseguenza della tipologia d’impresa la ratio di questo limite debba individuarsi nella mera tutela dell’attività economica e del suo libero e indisturbato svolgimento.
Se così fosse, probabilmente, la norma si rivelerebbe arbitrariamente discriminatoria e, pertanto, è più opportuno considerare che nel caso di verifiche che non richiedono complesse attività ispettive (come sono, oltre a quelle condotte presso le imprese di minori dimensioni, anche quelle svolte nei confronti di enti non commerciali e persone fisiche) la durata delle stesse debba essere contenuta nel limite dei 15 giorni, eventualmente prorogabili.
Decorso tale termine, la permanenza e/o il nuovo accesso presso i locali del contribuente è vietato, salvo che tale accesso si renda necessario per acquisire elementi la cui conoscenza è determinata dalle osservazioni che il contribuente, come vedremo, è legittimato a fare dopo la conclusione delle attività di verifica.

3. Modalità di accesso 

L’art. 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 si limita a prevedere che, al momento dell’accesso, gli operatori si devono identificare e devono esibire il tesserino identificativo e l’autorizzazione.
A questa regola minima si aggiunge la più articolata disciplina contenuta nell’art. 12 dello Statuto la quale prevede che all’inizio della verifica il contribuente sia informato delle ragioni che l’hanno determinata e del suo oggetto. Ciò costituisce conferma della necessaria motivazione dell’autorizzazione.
Inoltre, il contribuente deve essere informato della possibilità di farsi assistere da un professionista e dei diritti e degli obblighi di cui egli è titolare.

4. Svolgimento delle operazioni di verifica

4.1 La presenza del contribuente, dei suoi delegati e del professionista

Di norma, la presenza del soggetto sottoposto a verifica o di un suo rappresentante costituisce una mera facoltà del contribuente medesimo che non può essere negata. Ove essa non sia esercitata, tuttavia, l’attività di verifica può continuare a svolgersi regolarmente.
In due casi, tuttavia, la presenza non può mancare.
Infatti, la verifica nei confronti dei professionisti deve svolgersi in presenza del professionista medesimo (art. 51, comma 1, d.P.R. n. 633 del 1972) e quella nei confronti degli operatori finanziari deve avvenire alla presenza del responsabile della sede o dell’ufficio presso il quale la verifica è svolta (art. 33, comma 4, del d.P.R. n. 600 del 1973).
Ovviamente, si tratta di una regola disponibile per il contribuente il quale può rinunciare ad essere presente o delegare un terzo.
Il contribuente, inoltre, può chiedere l’assistenza del professionista.
Tuttavia, l’assistenza del professionista è cosa diversa dalla presenza del contribuente. Infatti, nel primo caso, il professionista, proprio perché interviene in qualità di “assistente”; non agisce quale mero sostituto del contribuente, ma lo affianca supportandolo dal punto di vista tecnico e/o giuridico. Non solo, ma come diremo, il professionista ha l’autonoma legittimazione a formulare osservazioni e rilievi dei quali deve essere dato esplicitamente conto nei verbali delle operazioni di verifica (art. 12, comma 4, dello Statuto).
I verificatori sono sottoposti, inoltre, al generico obbligo di svolgere la propria attività arrecando il minor intralcio possibile all’attività (art. 12, comma 1, dello Statuto) e, a tale fine, il contribuente può chiedere ai medesimi che l’esame delle scritture contabili avvenga presso la sede dell’Agenzia o gli uffici della Guardia di Finanza (art. 12, comma 3, dello Statuto).

4.2 L’ispezione di documenti e scritture contabili. Il sequestro

La verifica riguarda tutti i libri e le scritture contabili e comporta anche, come abbiamo già rilevato, l’effettuazione di ricerche che possono incontrare il limite derivanti dalla necessità di acquisire il contenuto della corrispondenza o di quanto si trova in locali (armadi ecc.), o “contenitori” (le borse) strettamente riferibili a singole persone fisiche. Ne qual caso sorge l’obbligo di munirsi dell’autorizzazione del procuratore della Repubblica.
L’art. 12, comma 3, prevede – in linea con l’interesse tutelato da tale norma e consistente nella minore intrusività possibile dell’attività – che il contribuente abbia il diritto potestativo di richiedere che l’ispezione documentale (comprensiva della documentazione contabile) sia eseguita presso gli uffici dei verificatori o presso l’ufficio del professionista che assiste il contribuente.
Trattandosi, a nostro avviso, di un diritto potestativo, l’ufficio ha l’obbligo di ottemperare alla richiesta del contribuente (che costituisce atto di esercizio di tale diritto).
In questo caso, ovviamente le scritture contabili e i documenti sono prelevati dalla sede dell’attività (o dagli altri luoghi in cui sono conservati) per essere collocati in un luogo diverso (a seconda dei casi: gli uffici dei verificatori o l’ufficio del professionista).
Poiché, tuttavia, tale prelievo viene posto in essere su richiesta del contribuente, l’ufficio acquista una detenzione meramente precaria dei documenti e delle scritture contabili funzionale allo svolgimento dell’attività di verifica e suscettibile di cessare immediatamente al termine dell’attività stessa. In tale momento, ciò che è stato prelevato dalla sede del contribuente deve essere allo stesso restituito.
È evidente, quindi, la differenza che, in termini giuridici intercorre, fra tale attività e quella del sequestro disciplinato dall’art. 52, comma 7, del d.P.R. n. 633 del 1972.
Ai sensi di tale disposizione i verificatori hanno il potere di disporre il sequestro dei documenti. L’esercizio di tale potere va incontro a un doppio limite. Per un verso, il sequestro non può riguardare i libri e i registri contabili. Per altro verso, il sequestro può essere disposto solo nei casi in cui i documenti non possano essere fotocopiati o non se ne possa far constatare il contenuto nel verbale ovvero ancora se il contribuente rifiuta di sottoscrivere o contesta il verbale.
Con il sequestro, i verificatori pongono in essere un atto ablativo, in quanto sottraggono definitivamente quanto forma oggetto del sequestro alla disponibilità del contribuente che viene privato della relativa titolarità. La disposizione in esame non stabilisce se questo provvedimento ablativo è a termine oppure permanente. In applicazione del principio di proporzionalità, si deve però ritenere che il sequestro sia destinato a durare fino a quando non venga meno l’utilità di quanto è stato sequestrato ai fini delle contestazioni che l’ufficio accertatore ritenga di muovere al contribuente. Gli effetti del sequestro cesseranno, quindi, nel momento in cui non si ritenga di dover muovere alcuna contestazione al contribuente, o la contestazione sia definita (in sede amministrativa o giudiziale).
I documenti e le scritture non sequestrate vengono normalmente fatte oggetto di provvedimenti cautelativi, ossia diretti a prevenire la loro successiva sottrazione o alterazione nel corso della verifica ove questa si protragga nel tempo. In questi casi, infatti, la documentazione, pur lasciata nella giuridica disponibilità del contribuente, viene riposta, negli intervalli dell’attività di verifica, in luoghi il cui accesso è sottoposto all’esclusivo controllo dei verificatori.

4.3 Il contraddittorio in fase di verifica

Al temine di ogni giorno di verifica deve essere redatto il verbale delle operazioni compiute nel quale si deve dare conto anche delle richieste rivolte al contribuente e le risposte ricevute (art. 52, comma 5). In tale verbale, che deve essere sottoscritto dal contribuente o da chi lo rappresenta, deve anche darsi conto delle osservazioni del contribuente (art. 12, comma 4, dello Statuto) nonché, come abbiamo detto, di quelle del professionista che lo assiste.
Si tratta, com’è evidente, di una norma che introduce un principio di “contraddittorio” in sede di attività di verifica. È, questo, un contradditorio “preliminare” che deve essere considerato come elemento complessivo di una più articolata disciplina del contraddittorio che comprende quella di cui all’art. 12, u.c., dello Statuto e della quale costituisce una “fase”.
A rigore – anche se nella prassi si tende a sminuirne la rilevanza – la previsione della predetta facoltà di far risultare osservazioni e rilievi implica – logicamente, ma necessariamente – che anche nel corso delle attività di verifica l’Agenzia (o la Guardia di Finanza) devono dare progressivamente conto della sua attività e delle conclusioni, sia pure provvisorie, cui è pervenuta. La formulazione di osservazioni e rilievi, infatti, presuppone necessariamente un termine di riferimento, un “oggetto”, al quale tali osservazioni devono essere indirizzate. Se mancasse tale termine di riferimento, le osservazioni e i rilievi avrebbero un contenuto meramente astratto – o, tutt’al più, potrebbero riguardare le modalità operative dell’Agenzia ciò che non si coordinerebbe con la ratio della previsione normativa – e sarebbero sostanzialmente inutili.

4.4 Il processo verbale di constatazione .

Terminata la verifica, i verificatori dovranno predisporre un atto conclusivo nel quale si espongono i risultati cui essi sono pervenuti.
In particolare, tale atto – che nella terminologia corrente prende il nome di processo verbale di constatazione o PVC – espone e riepiloga l’attività svolta, le constatazioni effettuate e, conseguentemente, i rilievi sollevati. Per rilievi si intendono i giudizi che i verificatori ritengono di dover formulare in ordine alla conformità o, più probabilmente, alla difformità di quanto constatato alla legge.
Usualmente, si afferma che tali rilievi attengono alla “condotta” del contribuente, ma si tratta di formula meramente evocativa, perché il giudizio di difformità non riguarda i comportamenti, ma gli atti: le dichiarazioni, le scritture contabili ecc. Sono questi atti che possono, o meno, risultare conformi o difformi rispetto alle norme che ne disciplinano il contenuto in relazione alle specifiche situazioni di fatto accertati dai verificatori.
Il processo verbale è disciplinato dall’art. 24 della l. 7 gennaio 1929, n. 4, ma, piuttosto, si dovrebbe dire che esso meramente “previsto” da tale disposizione che nulla dice circa il suo contenuto e i suoi effetti.
Tali profili sono stati messi a fuoco dalla giurisprudenza secondo la quale, per ciò che attiene al contenuto, esso si presenta composito.
Certamente, il PVC non si limita a riportare le conclusioni dei suoi estensori in ordine alla veridicità o meno di fatti, atti o documenti, ben potendo – come di norma avviene – contenere anche le conclusioni ritraibili da tali rilievi di fatto, ossia affermazioni, cui si perviene mediante l’espressione di giudizi critici di ordine logico e giuridico, la sussistenza di violazioni, definite sia in relazione alla normativa trasgredita, sia alla gravità della stesse ed alle conseguenze con riferimento ai tributi evasi ed alle sanzioni applicabili.
La giurisprudenza ha però ritenuto che esso non deve necessariamente contenere le contestazioni, potendo avere una molteplicità di contenuti, valutativi o meramente ricognitivi di fatti o di dichiarazioni. Si tratta, tuttavia, di un’opinione che, ove si veda il PVC in relazione alle previsioni dell’art. 12 dello Statuto, deve essere parzialmente rettificata.
In ordine al PVC si deve ancora rilevare che secondo la prevalente giurisprudenza esso è un atto pubblico e, come tale, è assistito da una specifica idoneità probatorio. In particolare, il PVC, ai fini probatori avrebbe:
a) valore di atto pubblico, relativamente alla descrizione di fatti che «siano stati oggetto di una percezione sensoriale che può essere organizzata staticamente» dal verbalizzante;
b) valore di prova liberamente apprezzabile dal giudice relativamente ai fatti che per il verbalizzante sono oggetto di conoscenza mediata «attraverso l’occasionale percezione sensoriale di accadimenti che si svolgono così repentinamente da non potersi verificare e controllare secondo un metro obiettivo […]»;
c) alcun valore probatorio relativamente alle qualificazioni del fatto operate dal verbalizzante (il quale assuma ad esempio che un certo fatto integri gli estremi di un illecito) o ai giudizi di ordine soggettivo da questo espressi.
Le qualificazioni o valutazioni dei fatti sono, del resto, contenuti propri della contestazione e non attengono all’accertamento.

4.5 Il contraddittorio

Se, in sé, il PVC, secondo la sua specifica disciplina, non deve esporre necessariamente le contestazioni o, comunque, i rilievi critici mossi al contribuente, tale esigenza emerge, invece, dalla specifica disciplina del “contraddittorio” contenuta nell’art. 12 dello Statuto.
Da tale disposizione emerge che, una volta ricevuto il PVC il contribuente ha la facoltà di presentare memorie difensive, la presentazione di tali memorie legittima, straordinariamente, l’Agenzia e ritornare presso il luogo della verifica e a permanervi solo per esaminare le osservazioni e le richieste formulate dal contribuente; l’avviso di accertamento non può essere emanato prima che siano decorsi 60 giorni dalla data di rilascio del PVC al fine di dar modo al contribuente di formulare le predette osservazioni; le osservazioni devono essere valutate dall’Agenzia.
Questi dati normativi consentono, a nostro avviso, di formulare le seguenti ulteriori conclusioni:
(a) le osservazioni e i rilievi del contribuente costituiscono l’eventuale ultima fase di un rapporto di contraddittorio collaborativo fra contribuente e fisco che ha avvio già nella fase di verifica, là dove il contribuente e il suo difensore hanno la facoltà di formulare analoghi rilievi dei quali si deve dare conto nei processi verbali dell’attività giornaliere;
(b) ovviamente si tratta di fasi doppiamente eventuali, nel senso che può esservi l’una (le osservazioni al verbale giornaliero) senza esservi l’altra (le osservazioni al PVC) e viceversa;
(c) l’eventualità di tale fase non è rimessa, però, a scelte dell’Agenzia delle Entrate, ma solo al contribuente;
(d) la possibilità di formulare osservazioni implica che il verbale esprima comunque, sia pure implicitamente, talune conclusioni, altrimenti la possibilità di formulare una critica sarebbe di fatto impedita dall’inesistenza di un termine di riferimento al quale indirizzare la critica;
(e) l’emissione dell’avviso di accertamento prima del compimento del termine di 60 giorni dalla data di rilascio del PVC è sanzionabile a pena di nullità (come ormai riconosciuto dalla giurisprudenza unanime), perché altrimenti non si potrebbe svolgere una fase che è astrattamente necessaria, salva ogni diversa valutazione del contribuente;
(f) la “valutazione” delle osservazioni è inderogabile – anzi è prevista la possibilità di un nuovo accesso proprio per poter agevolare tale fase – e, quindi, non solo non può essere omessa, ma anzi si dovrà motivare puntualmente in ordine a ciò che di tali osservazioni è ritenuto condivisibile e ciò che non lo è, spiegando i motivi sia dell’assenso che del dissenso

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