LEZIONI SUI POTERI CONOSCITIVI NEL DIRITTO TRIBUTARIO – Lezione 5

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I soggetti


1. Necessaria predeterminazione legale della titolarità del potere

Le osservazioni svolte in precedenza conducono alla necessaria conclusione secondo la quale il potere conoscitivo – alla pari di ogni altro potere pubblico – deve avere una base legale.

Non si esclude, cioè, che una parte della disciplina possa essere contenuta in atti normativi secondari, ma si richiede che la legge disciplini: (i) gli elementi fondamentali della disciplina; (ii) gli altri elementi che, in quanto potenzialmente interferenti con libertà inviolabili sono comunque soggetti a una riserva di legge.

Fra gli elementi fondamentali della disciplina è compreso il profilo soggettivo, ossia l’attribuzione del potere a un soggetto specificamente individuato.

Nello studio della disciplina del potere conoscitivo occorre quindi prendere le mosse dalla individuazione dei soggetti titolari del potere medesimo.

Considerata la molteplicità dei tributi esistenti nel nostro ordinamento – e la correlativa esistenza di altrettanto molteplici discipline dirette al controllo dell’esatta applicazione di tali tributi – la titolarità dei poteri di accertamento (e di quelli conoscitivi in essi ricompresi) è, naturalmente, riferita ai diversi enti (e alle relative articolazioni) che sono coinvolti nell’accertamento dei tributi medesimi.

Tuttavia, ai nostri fini, è possibile limitare lo studio ai poteri riguardanti l’attuazione dei principali tributi erariali. E ciò sia perché si tratta dei tributi la cui applicazione è più diffusa cosicché l’esercizio dei poteri conoscitivi è, naturalmente, più frequente in questa sede; sia perché, per i motivi ai quali si è già fatto cenno in precedenza, è maggiore la tensione fra i poteri richiesti per l’applicazione di questi tributi e i diritti di libertà.

Ferma restando, pertanto, tale limitazione della nostra trattazione, si deve comunque osservare che una parte non piccola delle considerazioni di principio che saranno svolte con riguardo a tali poteri è applicabile, mutatis mutandis, anche ai poteri conoscitivi riconosciuti per l’applicazione di altri tributi.

2. L’Agenzia delle Entrate

Per quanto riguarda i tributi erariali, il soggetto al quale sono attribuiti, in primo luogo, i poteri conoscitivi è l’Agenzia delle Entrate.

Quest’ultima è un ente pubblico non economico al quale sono state trasferite le funzioni già proprie del Ministero dell’economia e delle finanze. Tale trasferimento è avvenuto con la l. n. 300 del 1999 il cui art. 61 ha, appunto, qualificato l’Agenzia delle Entrate come soggetto dotato di personalità giuridica di diritto pubblico.

Il successivo art. 62 definisce le “funzioni” spettanti all’Agenzia delle Entrate nonché i “servizi” che, nell’espletamento di tali funzioni, essa deve svolgere.

Fra tali servizi sono compresi quelli relativi all’accertamento dei tributi.

È evidente, quindi, che, sia pure sotto la non chiarissima definizione di “servizi”, l’Agenzia delle Entrate è titolare del potere di accertamento e, con esso, dei poteri strumentali e funzionali al controllo propedeutico all’accertamento medesimo; ossia, in particolar modo, i poteri conoscitivi.

L’art. 66, infine, demanda allo Statuto adottato da ciascuna Agenzia la disciplina specifica dei predetti poteri conoscitivi, ossia la distribuzione dei poteri stessi nell’ambito delle articolazioni dell’ente. Come confermato dalla legge stessa, tali articolazioni devono prevedere un livello centrale e uno periferico.

In particolare, secondo lo Statuto dell’Agenzia delle Entrate, il livello centrale è rappresentato dalla Direzione Centrale; i livelli periferici sono due ossia, in particolare, le Direzioni Regionali e le Direzioni Provinciali.

La distribuzione di compiti e servizi fra questi ultimi due soggetti è rimessa, infine, al Regolamento di amministrazione dell’Agenzia il quale ha previsto che le Direzioni Regionali abbiano una competenza limitata in materia di accertamento, nel senso che essa è circoscritta ai cc.dd. “grandi contribuenti” ossia ai contribuenti con un volume di affari maggiore di 100.000.000 di euro.

Le restanti competenze sono attribuite, invece, alla Direzioni Provinciali.

È dubbio se tale ripartizione di competenze abbia una rilevanza esterna e, comunque, se essa (ove eventualmente esistente) sia tale da far considerare viziato l’atto emesso da un soggetto incompetente.

La giurisprudenza è tendenzialmente orientata per la soluzione negativa.

Il nucleo essenziale dei poteri attribuiti all’Agenzia delle Entrate è contenuto negli artt. 51 e 52 del d.P.R. n. 633 del 1972 e negli artt. 32 e 33 del d.P.R. n. 600 del 1973. Queste disposizioni, infatti, pur essendo dettate, le prime, per l’imposta sul valore aggiunto e, le seconde, per l’IRES e l’IRPEF, si integrano a vicenda – e, infatti, esistono reciproci rinvii nella rispettiva disciplina.

Peraltro, come vedremo, la predetta disciplina costituisce il punto di riferimento per la quasi generalità dei poteri attuativi relativamente ai tributi, in quanto ad essa rinviano, direttamente o indirettamente, le disciplina attuative di una larga parte dei tributi esistenti.

3. La Guardia di Finanza

La Guardia di Finanza è un corpo militare. Ai sensi dell’art. 1 della l. 23 aprile 1959, n. 189 esso fa parte della forse armate dello Stato anche se si caratterizza per l’essere alle dipendenze del Ministro dell’economia e delle finanze e non del Ministro della difesa.

I compiti della Guardia di Finanza sono indicati nel citato art. 1 della l. n. 189 del 1959 e dall’art. 2 del d.lgs. n. 19 marzo 2001, n. 68.

Invero, la prima norma attribuiva alla Guardia di Finanza il precipuo compito di prevenire, ricercare e denunziare le evasioni e le violazioni finanziarie.

Il successivo art. 2 del d.lgs. n. 68 del 2001 ha parzialmente riformulato tale imposta attribuendo, innanzi tutto, alla Guardia di Finanza la funzione di di polizia economica e finanziaria a tutela del bilancio pubblico, delle regioni, degli enti locali e dell’Unione europea.

Solo nell’ambito di tale funzione è specificata l’attribuzione di compiti di prevenzione, ricerca e repressione delle violazioni relative alla generalità dei tributi.

La Guardia di Finanza è, quindi, l’altro soggetto, insieme con l’Agenzia delle entrate, titolare del potere conoscitivo.

4. Le relazioni fra Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza

I poteri di cui dispone la Guardia di Finanza sono i medesimi dei quali è titolare l’Agenzia delle Entrate.

Infatti, fin dall’art. 1 del R.D.L. 3 gennaio 1926, n. 63, agli appartenenti al Corpo «sono conferiti tutti i poteri e diritti di indagine, accesso, visione, controllo, richiesta d’informazioni, che spettano per legge ai diversi uffici finanziari incaricati dell’applicazione dei tributi diretti e indiretti».

Tale derivazione dei poteri della Guardia di Finanza da quelli dell’Agenzia delle Entrate è ribadita sia dall’art. 2, comma 4, del d.lgs. n. 19 marzo 2001, n. 68 [il quale stabilisce che «i militari del Corpo, nell’espletamento dei compiti di cui al comma 2, si avvalgono delle facoltà e dei poteri previsti dagli articoli 32 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, 51 e 52 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni»] sia dall’art. 63 l’art. 63, comma 1, del D.P.R. n. 633/72, [ai sensi del quale «la Guardia di Finanza coopera con gli uffici dell’imposta sul valore aggiunto per l’acquisizione e il reperimento degli elementi utili ai fini dell’accertamento dell’imposta e per la repressione delle violazioni del presente decreto, procedendo, di propria iniziativa o su richiesta degli uffici, secondo le norme e con le facoltà di cui agli art. 51 e 52, alle operazioni ivi indicate e trasmettendo agli uffici stessi i relativi verbali e rapporti»; sia, infine, dall’art. 33, commi 2, 3 e 4 i quali, oltre a ripetere la formula del precedente articolo 63 (al comma 2) precisa ulteriormente che «Ai fini del necessario coordinamento dell’azione della Guardia di finanza con quella degli uffici finanziari, saranno presi accordi, periodicamente e nei casi in cui si debba procedere ad indagini sistematiche, tra la direzione generale delle imposte dirette e il comando generale della Guardia di finanza e, nell’ambito delle singole circoscrizioni, fra i capi degli ispettorati e degli uffici e i comandi territoriali. Gli uffici finanziari e i comandi della Guardia di finanza, per evitare la reiterazione di accessi, si devono dare immediata comunicazione dell’inizio delle ispezioni e verifiche intraprese. L’ufficio o il comando che riceve la comunicazione può richiedere all’organo che sta eseguendo l’ispezione o la verifica l’esecuzione di specifici controlli e l’acquisizione di specifici elementi e deve trasmettere i risultati dei controlli eventualmente già eseguiti o gli elementi eventualmente già acquisiti, utili ai fini dell’accertamento. Al termine delle ispezioni e delle verifiche l’ufficio o il comando che li ha eseguiti deve comunicare gli elementi acquisiti agli organi richiedenti».

Sebbene la Guardia di Finanza disponga degli stessi poteri di cui è titolare l’Agenzia delle Entrate è, tuttavia, diverso il ruolo che tali soggetti rivestono nell’ambito dell’ordinamento.

Il ruolo della Guardia di Finanza, per come delineato nelle norme prima citate, è, infatti, in qualche misura “ausiliario” a quello dell’Agenzia delle Entrate.

Tale ausiliarietà del ruolo è palesata:

  • innanzi tutto, dal fatto che la Guardia di Finanza “coopera” con l’Agenzia delle Entrate; sebbene la cooperazione – in senso logico e giuridico – non implichi, in sé, subordinazione, il fatto che sia la Guardia di Finanza a “cooperare con” e non i due soggetti che cooperano fra loro è già indicativo della centralità dell’Agenzia delle Entrate;
  • in secondo luogo, dal fatto che la Guardia di Finanza pur potendo operare di propria “iniziativa”, può essere tenuta a operare “su richiesta” dell’Agenzia delle Entrate, là dove, al contrario la Guardia di Finanza non può, a sua volta, richiedere l’intervento dell’Agenzia delle Entrate.

5. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione

Attualmente, l’attività di riscossione è attribuita alla competenza dell’Agenzia delle Entrate. L’art. 1, comma 2, del d.l. n. 193 del 2016 afferma, infatti, che «l’esercizio delle funzioni relative alla riscossione nazionale […] è attribuito all’Agenzia delle entrate». La medesima disposizione precisa, tuttavia, che tali funzioni, pur essendo proprie dell’Agenzia delle Entrate, sono esercitate da un ente strumentale denominato Agenzia delle Entrate-Riscossione istituito dal successivo comma 3 che lo qualifica come ente pubblico economico, così riconducendo la sua attività a quella d’impresa, secondo la prevalente concezione di ente pubblico economico.

La natura strumentale dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione implica che lo stesso sia anche titolare dei medesimi poteri di cui è munita l’Agenzia delle Entrate, ossia l’ente effettivamente titolare della funzione esercitata per il suo tramite.

In questo senso, risultano parzialmente superate, in quanto assorbite per effetto della collocazione strumentale dell’ente, le previsioni di cui al D.L. 4 luglio 2006, n. 223 il cui art. 35, comma 25-bis, stabiliva che «In caso di morosità nel pagamento di importi da riscuotere mediante ruolo complessivamente superiori a venticinquemila euro, gli agenti della riscossione, previa autorizzazione del direttore generale ed al fine di acquisire copia di tutta la documentazione utile all’individuazione dell’importo dei crediti di cui i debitori morosi sono titolari nei confronti di soggetti terzi, possono esercitare le facoltà ed i poteri previsti dagli articoli 33 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e 52 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633».

Il superamento di tali disposizioni è parziale in quanto resta fermo che i poteri conoscitivi previsti da tale disposizione sono esercitabili sono al fine di «acquisire copia di tutta la documentazione utile all’individuazione dell’importo dei crediti di cui i debitori morosi sono titolari nei confronti di soggetti terzi». È viceversa dubbio che possa ritenersi tuttora limitato l’esercizio del potere ai soli casi in cui il debito ecceda l’importo di venticinquemila euro e si deve certamente adattare alla diversa struttura organizzativa dell’ente la previsione secondo la quale l’esercizio di tali poteri è subordinato alla previa autorizzazione del direttore generale.

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