DISCIPLINA DEL “PREZZO VALORE” E COSTITUZIONE DI RENDITA VITALIZIA: L’EQUIVOCO DELLA CASSAZIONE
Tempo di Lettura: 8 minutiCommento a Cass. civ., Sez. V, Ord. 10 giugno 2021, n. 16229
1. Il caso
Con la sentenza in commento, la Corte Suprema di Cassazione ha risolto – a quanto ci consta, per la prima volta – il tema della applicabilità della disciplina del prezzo-valore alle cessioni di beni immobili a destinazione abitativa a fronte della costituzione di una rendita vitalizia.
La questione, più nello specifico, è rappresentata dal dubbio se l’art. 1, comma 497, del d.l. n. 226 del 2005 – recante la disciplina del c.d. prezzo-valore – nel momento in cui afferma che tale disciplina rappresenta una deroga all’art. 43 del TUR, escluda altresì la possibilità di estendere la deroga anche a quanto previsto dall’art. 46 del TUR medesimo (ossia della norma che disciplina i negozi costitutivi di rendite e pensioni).
Tale dubbio è risolto dalla Corte Suprema di Cassazione in termini affermativi (cioè nel senso della non estensibilità della deroga).
Questa conclusione è, a nostro sommesso avviso, errata.
Ciò che occorre mettere in evidenza, tuttavia, non è l’errore in sé, ma la sua origine che, sempre a nostro avviso, deve rinvenirsi in una inesatta percezione dei principi che regolano l’imposta di registro.
2. La regola derogata.
Poiché lo stesso art. 1, comma 497, della l. n. 226 del 2005 esordisce affermando che la disciplina in esso contenuta rappresenta una “deroga”, possiamo certamente dare per acquisita la natura derogatoria del “prezzo-valore”.
La questione che occorre porre in modo corretto, tuttavia, è quella concernente l’individuazione della “regola” derogata.
La Corte di Cassazione afferma la deroga operata dall’art. 1, comma 497, cit. investirebbe la regola secondo cui «la base imponibile dell’imposta di registro è costituita “dal valore del bene o del diritto”, quale valore venale in comune commercio» (cfr., punto 3.2 della Motivazione in diritto).
È questo, come anticipavamo, il vizio di fondo del ragionamento dei giudici di legittimità.
Ed invero, secondo quanto ci accingiamo a dimostrare, la regola derogata non è quella individuata dalla Corte di Cassazione.
La dimostrazione che segue non è particolarmente complessa. Essa richiede soltanto che, nell’affrontare l’imposta di registro, si abbia cura di andare al di là dell’asettica lettura delle disposizioni sforzandosi di indagarne, invece, la ratio. Una ratio che, peraltro, in un’imposta come quella in esame è di facile disvelamento, potendosi, a tal fine, far riferimento a uno sviluppo storico realizzatosi in modo sufficientemente armonico e, comunque, assai ben documentato.
In effetti, l’interesse principale della critica che ci apprestiamo a svolgere risiede non tanto nella sua idoneità – o, almeno, così auspichiamo – al fine di individuare la soluzione corretta al caso di immediato interesse, ma soprattutto nell’indicazione di metodo che essa offre. Ossia nell’evidenziazione della necessità di aver sempre la massima consapevolezza del sistema e di come esso si è sviluppato nel tempo.
Ora, da questo punto di vista, se si consultano le pagine che alla “base imponibile” dell’imposta di registro dedicavano i trattati “classici” – quelli, per intenderci, di A. Uckmar, A. Berliri e L. Rastello – si constaterà immediatamente che essi esordivano ponendo la seguente questione: poiché l’imposta di registro è un’imposta d’atto, là dove l’atto sia unilaterale è evidente che la base imponibile non possa che far riferimento all’unica prestazione in esso dedotta; ma là dove l’atto sia “bilaterlare”, quale sarà la prestazione cui fare riferimento?.
A questo interrogativo di metodo, essi rispondevano dicendo che, in astratto, sarebbe stato concepibile determinare la base imponibile come somma delle due prestazioni “scambiate”. Una simile scelta, secondo il sistema dell’imposta di registro, non solo non sarebbe stata contraria, ma addirittura avrebbe potuto reputarsi coerente con la struttura dell’imposta (cfr. L. Rastello, Il tributo di registro, Roma 1955, 522; A. Berliri, Le leggi di registro, Varese 1961, 275 ss.).
Svolto questo iniziale rilievo, i medesimi autori però precisavano immediatamente che la scelta del legislatore era stata quella di assumere come base imponibile (non la somma, bensì) una sola delle prestazioni contrapposte. Tuttavia, proseguivano i nostri autori, una simile opzione pone immediatamente un ulteriore interrogativo: quale delle due prestazioni scegliere come base imponibile?
E, sul punto, si evidenziava che la soluzione prescelta dal legislatore a questa seconda opzione “strutturale” era stata quella di non definire a priori la prestazione da assumere a base imponibile, ma di indicare solo un criterio di individuazione.
E tale criterio è stato, da sempre, quello della prestazione che dà luogo alla liquidazione della maggiore imposta.
Il che significa, tradotto in altri termini, che: (i) se l’aliquota da applicare alle due prestazioni contrapposte è la medesima, allora è sufficiente fare riferimento a quella, fra esse, che è di maggior valore; (ii) se le due prestazioni fossero, astrattamente, soggette ad aliquote diverse, non potrà farsi riferimento a quella che esprime un maggior valore, ma dovrà prescegliersi quella per la quale è maggiore il prodotto del valore per l’aliquota.
Ecco, allora, che viene a delinearsi la regola generale: la base imponibile nei contratti a prestazioni corrispettive è individuabile non già nel “valore del bene o del diritto” – come non correttamente affermano i giudici di legittimità – ma in quella, fra le due prestazioni, che conduce all’applicazione della maggiore imposta (o, come si diceva nelle trattazioni più risalenti, la prestazione «della parte che risulta maggiormente gravata»).
La regola generale appena illustrata è riflessa in modo trasparente proprio nelle prime tre lettere dell’art. 43, comma 1, del TUR:
- l’art. 43, comma 1, lett. a), del TUR, se letto in combinato disposto con il seguente art. 51, indica chiaramente che nei contratti traslativi o costitutivi di diritti (sottinteso: verso un corrispettivo costituito da una somma di denaro), poiché l’aliquota è, per definizione, unica, si fa riferimento al valore del bene o, se maggiore, al corrispettivo indicato in contratto;
- l’art. 43, comma 1, lett. b), del TUR riguarda invece i contratti traslativi o costitutivi di diritti reali il cui corrispettivo è rappresentato dal trasferimento o dalla costituzione di un altro diritto reale, ossia le permute. Anche in questo caso resta ferma la regola generale, la quale, anzi, è qui espressa con maggiore evidenza. La disposizione in esame, infatti, impone di assumere come base imponibile il valore del bene che dà luogo all’applicazione della maggiore imposta (ossia la prestazione, fra le due contrapposte, rispetto alla quale è maggiore il prodotto dell’aliquota per il valore);
- identica è, poi, la regola relativa alle ipotesi in cui le due prestazioni contrapposte siano, da un lato, l’assunzione di una obbligazione di fare e, dall’altro lato, sempre il trasferimento di un bene o l’assunzione di un’altra obbligazione di fare: anche in questo caso, fra le due prestazioni “scambiate” si presceglie, di volta in volta, una sola come base imponibile e, precisamente, quella rispetto alla quale è maggiore, in concreto, l’imposta, cioè il prodotto della aliquota per il valore.
Appare così evidente come, almeno nell’ultimo secolo – e nell’avvicendarsi di tre diversi testi normativi – sia rimasta ferma la regola generale relativa alla determinazione della base imponibile che può sintetizzarsi nel principio per cui essa (base imponibile) (i) è data da una delle due prestazioni scambiate (ii) da scegliersi, alternativamente e caso per caso, in quella che determina “l’applicazione della maggiore imposta”.
Se, com’è certo, tale è la regola generale, risulta allora chiaro in cosa consiste la deroga che è introdotta dall’art. 1, comma 497, del d.l. n. 266 del 2005.
Ovviamente, tale deroga non è all’art. 43 TUR, ma alla regola generale che esso pone e che abbiamo appena individuato. E la deroga consiste in ciò, che viene meno il principio dell’alternatività in concreto, essendo, invece, predefinita “a monte” e in astratto quale delle due prestazioni ipoteticamente idonee a fungere da base imponibile deve essere prescelta.
Più in particolare, la prestazione “predefinita” cui riferirsi per la determinazione della base imponibile è quella consistente nel diritto reale trasferito o costituito.
A questa prima “deroga” – relativa alla selezione della prestazione cui fare riferimento per individuare la base imponibile – se ne aggiunge un’altra, la quale, a ben vedere, non rappresenta una deroga all’art. 43 del TUR, bensì all’art. 52.
Detto diversamente, l’art. 1, comma 497, del d.l. n. 266 del 2005, dopo aver predefinito – in deroga alla regola generale della selezione in concreto secondo il criterio della “applicazione della maggiore imposta” – la prestazione cui fare riferimento per la determinazione della base imponibile, stabilisce ulteriormente, in deroga all’art. 52, che il valore della prestazione (trasferimento o costituzione del diritto reale immobiliare) rilevante ai fini della base imponibile sia determinato con riferimento al valore catastale e non al valore di mercato.
Tuttavia, è evidente che questa seconda deroga è “dipendente” dalla prima. Ossia essa opera solo se la prima deroga ha trovato applicazione.
3. La portata della deroga
Se si imposta in questo modo il ragionamento, come crediamo corretto fare, è evidente, allora, che per stabilire l’ambito di applicazione della “deroga”, occorre fare riferimento all’ambito di applicazione della “regola generale”.
In altri termini, nel momento in cui l’art. 1, comma 497, del d.l. n. 266 del 2005 afferma di introdurre una disciplina derogatoria all’art. 43 del TUR, poiché tale espressione non è altro che una formula breviloquente per indicare che viene derogata la regola dell’individuazione della base imponibile secondo l’illustrato criterio alternativo in concreto, si deve necessariamente concludere che la disciplina derogatoria opera in tutte le ipotesi in cui, altrimenti, troverebbe applicazione la predetta regola generale.
Si giunge, per questa via, alla domanda cruciale: la determinazione della base imponibile dello “scambio” fra il trasferimento o la costituzione di un diritto reale e la costituzione di una rendita vitalizia è ricompresa nella regola generale (quella della individuazione della base imponibile alternativamente e in concreto nella prestazione che dà luogo all’applicazione della maggiore imposta)?
Infatti, se anche l’art. 46 del TUR disciplinasse in modo conforme alla regola generale la base imponibile degli scambi in cui una delle due prestazioni è data dalla costituzione di una rendita, non avrebbe alcun senso escludere tale “operazione” dell’ambito di applicazione della “deroga”.
Detto diversamente, se l’art. 46 del TUR non fosse altro che una declinazione specifica della regola generale, affermare che la deroga di cui all’art. 1, comma 497, del d.l. n. 266 del 2005 non riguarda questo genere di operazioni, significherebbe ridurre tutto il problema a una “questione di numeri”, ossia al mero fatto che il numero “43” (che individua testualmente l’oggetto della deroga di cui all’art. 1, comma 497, del d.l. 266 del 2005) è diverso dal numero “46” prescindendo da ogni considerazione circa i rispettivi contenuti.
Il che costituirebbe una conclusione che, crediamo, non sarebbe avallata nemmeno dal più strenuo e radicale sostenitore della interpretazione strettamente letterale.
4. Il rapporto dell’art. 46 TUR con la regola generale.
Anche a questo proposito – ossia con riguardo al rapporto fra la regola enunciata dall’art. 46 del TUR e quella generale riflessa nell’art. 43 – la conoscenza dell’imposta di registro nella sua “dimensione” storica offre un sicuro supporto interpretativo.
Nella vigenza del R.D. n. 3269 del 1923 lo scambio in questione – quello fra diritto reale e rendita vitalizia – non era soggetto alla regola che, allora come oggi, è quella generalmente applicata e della quale ci siamo occupati in precedenza.
La dottrina, infatti, rilevava che «una vera e propria deroga invece al principio della tassabilità della prestazione di maggiore entità è contenuta nell’art. 23 che disciplina il trattamento tributario degli atti aventi per oggetto una rendita o una pensione “la tassa progressiva o proporzionale – così il citato articolo – per le costituzioni di rendite e pensioni per i relativi trasferimenti delle dette rendite a qualunque titolo e per la loro estinzione o per il loro riscatto e la tassa graduale per la loro attribuzione in virtù di decisione giudiziaria o arbitrale sono dovute sul capitale espresso nell’atto costitutivo della rendita o pensione”» (cfr. A. Berliri, Le leggi di registro, Varese 1961, pp. 276 e 277).
Gli aspetti interessanti, al riguardo, sono due.
Il primo è che risulta ribadito che là dove la regola per la determinazione della base imponibile consiste nella preselezione di una sola delle due prestazioni scambiate (anziché nella individuazione in concreto di quella che dà luogo all’applicazione della maggiore imposta) essa (regola) è considerata derogatoria, proprio come avveniva nell’imposta di registro anteriormente al 1972 per le rendite là dove vi era una sola prestazione rilevante, ossia la rendita e il relativo valore capitale (l’autore citato, infatti, qualificava tale disciplina come che «una vera e propria deroga invece al principio della tassabilità della prestazione di maggiore entità»).
Il secondo aspetto interessante è che tale deroga è stata espressamente e deliberatamente eleminata proprio nel 1972.
Di ciò è dato avvedersi attraverso la mera lettura dell’art. 46 del TUR il cui primo comma stabilisce, appunto, che «per la costituzione delle rendite la base imponibile è costituita dalla somma pagata o dal valore dei beni ceduti dal beneficiario, ovvero, se maggiore dal valore della rendita».
Quindi, evidentemente, anche in questo caso si confrontano, in concreto, le due prestazioni e si assume a presupposto la maggiore delle due.
Cosicché, allo stato, sembra evidente che anche gli atti costitutivi di rendite sono attratti nel medesimo regime generale individuato dall’art. 43 del TUR.
5. Conclusioni
Possiamo, a questo punto, tirare le fila del discorso:
- l’art. 1, comma 497, del d.l. n. 266 del 2005 costituisce una deroga alla regola generale relativa alla determinazione della base imponibile degli atti che comportano uno scambio fra il trasferimento (o la costituzione) di un diritto reale relativo a un fabbricato a destinazione residenziale e un’altra prestazione;
- tale regola è quella della scelta, come prestazione da valutare ai fini della quantificazione della base imponibile, della prestazione che dà luogo all’applicazione della maggiore imposta (come desumibile da quello sviluppo storico dell’imposta che è attualmente riflesso nella disposizione di cui all’art. 43 del TUR);
- la medesima regola si applica anche quando la prestazione “corrispettiva” del trasferimento (o della costituzione) del diritto è la costituzione di una rendita;
- l’unicità della regola derogata impone, allora, di considerare che la deroga operi per tutta l’estensione della regola, ivi inclusa quella particolare declinazione che riguarda la costituzione delle rendite (in cambio del trasferimento di un diritto reale relativo a un immobile a uso abitativo).
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