IL PRINCIPIO DI DERIVAZIONE RAFFORZATA SECONDO LA CORTE DI CASSAZIONE
Tempo di Lettura: 4 minutiCommento a Cass. civ., sez. V, sent. 13 agosto 2020, n. 17011
1. I plurimi motivi di interesse della sentenza n. 17011 del 2020
La questione che la Corte Suprema di Cassazione doveva risolvere nella controversia decisa dalla sentenza in commento riguardava il corretto regime fiscale della somma corrisposta dal venditore di una partecipazione societaria al compratore per indennizzarlo dell’onere sostenuto per effetto delle maggiori imposte (riferite a un periodo anteriore alla compravendita) che la società compravenduta aveva dovuto versare a seguito di un accertamento tributario.
Per risolvere questo problema la Corte ha dovuto affrontare alcune questioni preliminari di notevole spessore teorico e di sicura importanza pratica.
In particolare, i giudici di legittimità si sono soffermati su:
(a) l’esatta qualificazione giuridica del principio di derivazione rafforzata;
(b) la natura della cc.dd. clausole di “Dichiarazioni e Garanzie” ovvero di “Representations and Warranties” con le quali, nella generalità delle operazioni di compravendita di partecipazioni, il venditore si obbliga a tenere indenne l’acquirente dalle insussistenze di attivo o dalle sopravvenienze passive che si dovessero manifestare successivamente alla compravendita (e che, ovviamente, fossero riconducibili ad un’epoca anteriore alla data di acquisto);
(c) l’applicazione del c.d. principio di simmetria rispetto alle sopravvenienze attive di cui all’art. 88, comma 2, del t.u.i.r.
Come abbiamo detto, le tre questioni prima indicate sono tutte di grande rilevanza teorica e pratica; la soluzione offerta dalla sentenza in commento relativamente a ciascuna di esse, merita quindi di essere opportunamente segnalata.
Pertanto, tanto per motivi di spazio, quanto per dare a ciascun tema il debito risalto, ci soffermeremo, in questa sede, sul primo tema (quello della natura del principio di derivazione rafforzata), rinviando l’esame degli altri due temi a un successivo intervento.
2. Il principio di derivazione rafforzata come norma di rinvio
Come dicevamo, la prima questione risolta dalla Cassazione attiene all’esatta portata del c.d. principio di derivazione rafforzata.
Sul punto – aderendo alla tesi che, fin dalla riforma del 2007 era stata da noi prospettata (cfr., G. Fransoni, L’imputazione a periodo dei soggetti IAS/IFRS, in Corr. trib., 2008, 3145 ss.) – la Suprema Corte qualifica l’art. 83, comma 2, del t.u.i.r. come una vera e propria norma di rinvio.
Secondo la Cassazione, infatti, «nel caso della derivazione “rafforzata”, relativamente ai soggetti che, per obbligo o per scelta, redigono il bilancio di esercizio secondo i principi contabili internazionali IAS/IFRS, l’ultimo periodo del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 83, attua un vero e proprio rinvio, anche in deroga alle disposizioni del t.u.i.r., a “i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti da detti principi contabili”, non limitandosi alla mera presupposizione dei principi contabili che richiama, come accade invece per i soggetti di cui al primo periodo».
Per effetto di questa qualificazione, dunque, i principi contabili IAS/IFRS (e, oggi, anche i principi contabili OIC) non sono solo “normativizzati”, ma vengono inseriti direttamente, in virtù della tecnica del rinvio, nel sistema normativo del t.u.i.r. concorrendo a formare il sistema complessivo della disciplina del reddito d’impresa.
Si realizza così un assetto nell’ambito del quale convivono più disposizioni che devono essere armonizzate attraverso un’interpretazione sistematica; un sistema unitario in cui i conflitti e le aporie devono essere risolti in base a una valutazione complessiva, da compiersi in concreto, delle esigenze del sistema.
3. I corollari della qualificazione dell’art. 83, comma 2, del t.u.i.r. come norma di rinvio
Oltre a rilevare sul piano interpretativo, la soluzione condivisibilmente prospettata dalla Cassazione ha ulteriori riflessi di carattere operativo oltre che teorico.
Si possono segnalare almeno tre corollari della soluzione adottata dalla Corte, anche se tale elenco non è, verosimilmente, esaustivo.
Il primo corollario – che è, poi, quello che interessava la Corte Suprema di Cassazione – attiene alla possibilità di addurre la violazione delle regole IAS/IFRS come motivo del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
La Corte afferma, infatti, che, per un verso, «l’Amministrazione finanziaria [può] accertar[e] la corretta applicazione» dei principi contabili e, per altro verso «la loro interpretazione ed applicazione costituisc[e] anche una questione di diritto, quindi non necessariamente di mero fatto».
Questa ricostruzione appare perfettamente coerente con la qualificazione dell’art. 83, comma 2, del t.u.i.r. come norma di produzione mediante rinvio e, soprattutto, con la necessità di qualificare il rinvio in questione come formale o mobile. Tramite la norma di rinvio vengono introdotti nel nostro ordinamento non già i principi contabili quali essi erano nel momento in la norma richiamante è entrata in vigore, ma quelli che saranno tempo per tempo vigenti a seguito del procedimento di endorsment a livello unionale.
Quale secondo corollario, proprio tenuto conto di questa precisazione, appare certamente prospettabile anche il sindacato di legittimità costituzionale delle norme richiamate (ossia dei principi contabili IAS/IFRS): sebbene la tecnica di proposizione e di soluzione delle questioni di legittimità costituzionale sarà – come avviene per gli ordini di esecuzione – quella della richiesta e della eventuale successiva declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 83, comma 2, per la parte in cui introduce nel nostro ordinamento la norma ricavabile da un determinato principio, è chiaro che, agli effetti pratici, ciò che viene effettivamente dichiarato costituzionalmente illegittimo è il principio contabile medesimo (rectius: la norma dallo stesso desunta).
Quale terzo corollario si deve segnalare che la natura di norme primarie attribuibile ai principi contabili IAS/IFRS alla stregua della corretta qualificazione operata dalla Corte di Cassazione pone taluni problemi in ordine alla efficacia e legittimità dei vari decreti intervenuti per completare la disciplina.
Più specificamente, da un punto di vista generale, può porsi il dubbio sull’effettiva esigenza di quel coordinamento che i decreti sarebbero chiamati a realizzare là dove la norma primaria (ossia l’art. 83 del t.u.i.r.) opera la scelta per un rinvio recettizio ai principi contabili per ciò che attiene alla qualificazione, classificazione e imputazione a periodo. Invero, in questo caso, il coordinamento fra i due sistemi sembra essere già realizzato di per sé. E non è un caso, infatti, che la reale portata delle norme di coordinamento è consistita (spesso, anche se non costantemente) nella introduzione di deroghe al sistema configurato dalle norme del t.u.i.r. e da quelle richiamate.
Al di là dell’accettabilità o meno di tali deroghe, resta il fatto che esse sono state introdotte con atti di normazione secondaria la cui effettiva idoneità a realizzare tale effetto – in presenza di norme tutte, come si è visto, di rango primario – è quantomeno dubbia.
E ciò senza considerare che le norme che hanno autorizzato l’intervento regolamentare erano (con l’eccezione dell’art. 1, comma 60, della l. 24.12.2007, n. 244) prive di criteri direttivi e che, inoltre, la quasi totalità di tali regolamenti non ha seguito la procedura prevista dall’art. 17 della l. n. 400 del 1988 (su tali profili, rinviamo, per più ampie considerazioni, a G. Fransoni, I decreti ministeriali di coordinamento della disciplina i.re.s. e i.r.a.p. con i principi contabili internazionali: profili di legittimità, in Casi e osservazioni di diritto tributario, Pisa 2018, 11 ss.).