LA COMPLESSA IDENTIFICAZIONE DELLA AZIENDA FRA TEORIA E PRASSI
Tempo di Lettura: 5 minutiCommento alle risposte dell’Agenzia delle Entrate n. 81 del 2019 e n. 466 del 2019
Il contrasto, forse apparente, fra le due risposte dell’Agenzia delle Entrate
La recentissima risposta n. 466 dell’Agenzia dell’Entrate può essere utilmente confrontata con la risposta n. 81, di pochi mesi precedente, per svolgere alcune riflessioni su un concetto assai “sfuggente”, ma non meno importante, quale è quello dell’“azienda”.
Com’è facile verificare, le due risposte pervengono a conclusioni opposte in merito alla qualificazione dell’oggetto due contratti di cessione che, a prima vista, sembrano per molti versi del tutto analoghi: nel primo caso, la cessione “in blocco” di contratti fra la società cedente e la propria clientela viene qualificata come avente a oggetto una “azienda”, nel secondo caso, la cessione di un “portafoglio clienti” (quindi, verosimilmente, anche in questo caso un “blocco” di contratti fra la società cedente e i propri clienti), viene qualificata come cessione “di bene”.
Sembrerebbe esservi, quindi, uno stridente contrasto fra le due soluzioni.
Ferma restando ogni cautela nell’espressione di un giudizio fondato solo su una conoscenza del tutto indiretta dei fatti (tale essendo quella che è possibile acquisire dalla descrizione della fattispecie contenuta nelle due risposte a interpello), è possibile ipotizzare, tuttavia, che il contrasto sia più apparente che reale.
In primo luogo, non vi è alcuna differenza (né tanto meno un contrasto) nella definizione della nozione “astratta” di azienda.
I concetti impiegati per fornire tale definizione sono del tutto omogenei nelle due risposte e finanche i riferimenti giurisprudenziali sono perfettamente coincidenti.
Poiché, allora, la premessa (la cosiddetta “premessa maggiore” del c.d. “sillogismo” proprio di ogni qualificazione giuridica) dalla quale muove l’Agenzia delle Entrate è identica nelle due ipotesi, la diversità di soluzione deve individuarsi nella fattispecie concreta (la c.d. “premessa minore”), ossia in taluna delle circostanze di fatto apprezzate e considerate dall’Agenzia.
Le circostanze di fatto rilevanti
Se, quindi, la divergente soluzione cui è pervenuta l’Agenzia delle Entrate nelle risposte a interpello qui considerate deve essere dipesa dalle caratteristiche delle specifiche fattispecie concrete esaminate, occorre domandarsi quali sono gli elementi che sono risultati rilevanti, nei due casi, al fine di determinare risposte così diverse.
Il motivo per il quale, in prima battuta, si è propensi a dire che le due soluzioni sono contrastanti è dato dal fatto che, astrattamente considerato, l’oggetto della cessione era, nelle due ipotesi, il medesimo, ossia un blocco di contratti. Da questo punto di vista non sembrerebbe rilevante la circostanza che, nel caso più recente, si facesse riferimento a un “portafoglio clienti” e non a un insieme di rapporti contrattuali. Invero, pur con tutte le cautele rese necessarie dalla imperfetta conoscenza dei dettagli, sembra assai verosimile che, poiché la società cedente esercitava l’attività di leasing, il suo “portafoglio clienti” non potesse consistere in altro che nell’insieme di contratti acquisiti nell’ambito di tale attività.
Se, allora, si ammette, almeno in ipotesi, che vi era coincidenza nell’oggetto immediato della cessione, le circostanze di fatto il cui apprezzamento dovrebbe aver orientato le diverse conclusioni raggiunte dall’Agenzia devono essere rinvenute altrove e, precisamente, nel “contesto” complessivo in cui le due cessioni si collocavano.
Questo profilo, che anche ai fini pratici riveste il massimo interesse, ci sembra confermato da un’importante puntualizzazione contenuta nella risposta n. 466.
Afferma, infatti, l’Agenzia delle Entrate che «non si possono fissare aprioristicamente, in via generale ed astratta, quali e quanti beni e rapporti siano necessari a costituire o, meglio, ad identificare, il nucleo indispensabile per determinare l’esistenza di un’azienda, poiché non assume esaustiva rilevanza il semplice complesso di “beni”, in sé e per sé stesso considerato, ma anche i “legami” giuridici e di fatto tra gli stessi, nonché la destinazione funzionale del loro insieme».
In altri termini, l’Agenzia indica con la massima chiarezza che non è sufficiente guardare all’oggetto immediato, ma occorre “contestualizzare” tale oggetto rispetto all’attività complessiva della società cedente (e, probabilmente, anche rispetto a quella della società cessionaria).
Da questo punto di vista, si potrebbe ipotizzare che l’elemento decisivo dal quale è dipesa la diversa soluzione adottata dall’Agenzia delle Entrate nelle due ipotesi possa essere individuato nel fatto che, nel caso risolto dalla risposta n. 81, la società cedente svolgeva esclusivamente attività di reperimento della clientela e di conclusione dei relativi contratti, mentre la cessionaria era incarica di svolgere l’attività tecnica e operativa necessaria per dare concreta esecuzione ai contratti medesimi. Inoltre, secondo quanto rappresentato dall’istante, l’attività svolta dalla cedente, proprio in considerazione della sua natura specifica, non comportava l’esistenza di altri elementi materiali e/o di rapporti giuridici necessari per l’esercizio dell’impresa.
In altri termini, cedendo i contratti, la società cedente trasferiva alla cessionaria la totalità dei rapporti contrattuali (attivi) implicati dallo svolgimento della propria attività.
Viceversa, nel caso risolto dalla risposta n. 466, il trasferimento dei contratti non comportava l’alienazione della totalità dei rapporti giuridici e degli altri elementi materiali implicati dall’esercizio dell’attività di impresa della cedente la quale società, proprio perché svolgente l’attività di leasing, doveva necessariamente avvalersi di un più articolato e complesso apparato organizzativo.
Detto diversamente, la cessione di contratti in blocco, in questa prospettiva, può configurare una cessione di azienda solo se essa esaurisce il complesso degli elementi che, per la cedente, costituiscono il substrato materiale e giuridico per l’esercizio della propria attività d’impresa.
Alcune osservazioni critiche
Le conclusioni cui perviene l’Agenzia delle Entrate – se la ricostruzione, appena svolta, del suo pensiero dovesse risultare corretta – sembrano tutto complessivamente condivisibili.
Tuttavia, non si possono omettere alcune riflessioni critiche.
In primo luogo, se fosse corretto quanto si è osservato in precedenza circa il diverso apprezzamento che le due fattispecie concrete hanno sollecitato, non si può fare a meno di dire che tale diversa prospettiva avrebbe meritato di essere espressa in modo più chiaro e diretto.
Certamente l’Agenzia delle Entrate è ben consapevole del fatto che le due risposte a interpello non possono non essere lette congiuntamente e che la diversità delle soluzioni crea, inevitabilmente, delle incertezze. Sarebbe stato, allora, opportuno esprimere con la massima chiarezza le ragioni di fondo e gli aspetti distintivi che giustificano l’affermazione, in un caso, e la negazione, nell’altro, dell’esistenza di un’azienda (quale oggetto del contratto).
In secondo luogo, ed è questo il dubbio più rilevante, la giustificazione appena fornita della diversa qualificazione di quanto formava oggetto dei due contratti esaminati conduce, in definitiva, ad affermare che una cessione di contratti in blocco è qualificabile come cessione d’azienda solo se, tale cessione, coinvolge la totalità dei beni e dei rapporti giuridici organizzati per l’esercizio dell’attività principale della società.
Il che varrebbe quanto dire che là dove l’oggetto della cessione è un’attività ausiliaria o strumentale o ancillare rispetto all’attività, questa non potrebbe mai consistere nella mera cessione dei contratti.
Se così fosse, per un verso, il pensiero dell’Agenzia delle Entrate risulterebbe ancora più chiaro, ma, per altro verso, si esporrebbe a una critica di metodo di non lieve peso.
Invero, posto che deve ritenersi indiscusso che si può avere cessione d’azienda anche nel momento in cui viene trasferito il complesso dei beni e dei rapporti giuridici necessari per l’esercizio di un’attività ausiliaria o strumentale ecc., il criterio per determinare se quanto viene trasferito è, o meno, un’azienda, non è dato dalla natura dei beni e dei rapporti giuridici astrattamente considerata, ma dalla loro effettiva connessione e strumentali rispetto all’attività. Detto in altri termini, si deve muovere dalla natura e dall’oggetto dell’attività (sia essa principale, o ausiliaria o strumentale) e verificare, di conseguenza, se quanto viene trasferito costituisce il substrato organizzativo necessario per lo svolgimento di tale attività.
E ciò, tanto più se si aderisce all’idea – che appare condivisa dalla stessa Agenzia – secondo la quale (a) «non è necessaria la cessione di tutti gli elementi che normalmente costituiscono l’azienda» e (b) è sufficiente che «permanga un residuo di organizzazione che ne dimostri l’attitudine all’esercizio dell’impresa, sia pure mediante la successiva integrazione da parte del cessionario» (Cassazione, Sez. V civ., 11 maggio 2016, n. 9575).
Cosicché, se non può escludersi totalmente che la qualificazione di un complesso di beni e rapporti giuridici come azienda possa anche dipendere dal fatto che esso sia strumentale (o comunque connesso) allo svolgimento dell’attività principale ovvero di quella accessoria ecc., non sembra neppure possibile affermare che questo solo elemento possa assumere valore in ogni caso decisivo.