LA CORTE COSTITUZIONALE CONTRO LA CORTE DI CASSAZIONE: PER UNA RIVALUTAZIONE DEGLI SCHEMI PROCEDIMENTALI DI ATTUAZIONE DEI TRIBUTI
Tempo di Lettura: 4 minutiCommento a Corte Cost., ord. 13 dicembre 2019, n. 273
1. Una questione di wishful thinking?
La recentissima ordinanza qui segnalata risolve nel modo più lineare una questione che non avrebbe nemmeno dovuto essere sottoposta al vaglio del giudice delle leggi.
Nella loro attività quotidiana, i normali operatori del diritto non nutrono alcun dubbio, infatti, circa la razionalità della scelta di sanzionare la tardiva costituzione in giudizio del ricorrente con l’inammissibilità. Peraltro, il rigore del termine decadenziale è mitigato dalla generale portata dell’art. 153 c.p.c. sulla remissione applicabile nelle ipotesi patologiche in cui la decadenza sia dovuta a “cause non imputabili” alla parte nei cui confronti essa opera [cfr., per tutti, M. Cantillo, La nuova rimessione in termini nel processo tributario, in Rass. trib., 2010, 919].
L’aver, invece, ritenuto non manifestamente infondato tale dubbio ha costituito una palese forzatura da parte del giudice remittente. E tale opzione non poteva che infrangersi contro le giuste obiezioni dell’avvocatura dello Stato e le condivisibili considerazioni della Corte Costituzionale.
Il motivo per il quale questa ordinanza viene qui segnalata non è rappresentato, quindi, dalla rilevanza del problema risolto o dall’importanza delle conseguenze del giudizio di costituzionalità. Il regime del processo tributario ne esce inalterato senza che nessuno possa realmente deprecare tale esito.
La segnalazione è, invece, giustificata da una diversa considerazione della quale è necessario prevenire il lettore.
E questa considerazione consiste nella percezione che, sia pure implicitamente, la Corte Costituzionale abbia voluto confermare non solo e non tanto il regime delle decadenze processuali, ma anche la loro rilevanza per ciò che attiene alla conformazione dei moduli attuativi dei tributi.
Non possiamo nascondere – e in questo consiste il senso della presente “avvertenza” – che ciò che percepiamo nell’ordinanza in commento potrebbe essere il frutto di una nostra preferenza per questo tipo di soluzione. In altri termini, è ben possibile che, più che rappresentare il pensiero della Corte Costituzionale, daremo espressione a un nostro wishful thinking.
Tuttavia, la questione (ossia il problema di “prendere sul serio” la conformazione procedimentale, in senso lato, della disciplina attuativa dei tributi) è seria [si veda, il precedente intervento su “Gli equivoci pericolosi sui rapporti fra funzione amministrativa e processo”] e ogni segnale, sia pur tenue, in questo senso merita di essere sottolineato.
2. La giustificazione della decadenza
Per meglio chiarire quanto stiamo per dire, è bene premettere che la decadenza, riguardata dal punto di vista del processo tributario (ossia dal punto di vista rilevante nell’ottica della questione di legittimità costituzionale decisa dall’ordinanza n. 273 del 2019), presenta due profili: l’uno (che potremmo dire “interno” al processo) è quello dell’inidoneità degli atti di parte a condurre il processo alla sua conclusione nel merito; l’altro (che possiamo chiamare “esterno” al processo) è costituito dall’acquisizione della assoluta stabilità dell’atto impugnabile (ossia un effetto rilevante sul piano dello svolgimento della funzione impositiva e non del processo).
Ora, il dato che ci sembra rilevante, nel contesto della motivazione dell’ordinanza, è che la Corte Costituzionale ha ritenuto di poter giustificare la sanzione della decadenza come conseguenza alla tardiva costituzione in giudizio in ragione del suo essere «funzionale al consolidamento dell’atto amministrativo e alla tutela dell’interesse pubblico alla certezza e stabilità della pretesa finanziaria oggetto del provvedimento impugnato».
L’importanza di questa affermazione, dal nostro punto di vista, è data dal fatto che essa valorizza, quale elemento idoneo a conferire razionalità alla disciplina, il profilo della decadenza che abbiamo detto “esterno”, piuttosto che quello “interno”.
Detto diversamente, è evidente che la Corte Costituzionale avrebbe potuto limitarsi a giustificare la previsione di un rigoroso termine di decadenza sulla base di considerazioni totalmente “interne” al processo. Sarebbe stato sufficiente limitarsi a rilevare che la struttura impugnatoria del processo porta con sé, quale inevitabile corollario, la previsione di termini decadenziali.
E, invece, la Corte – pur non omettendo di sottolineare anche tale circostanza nel momento in cui ha raffrontato la disciplina del ricorso con l’opposizione a decreto ingiuntivo o con l’appello – ha preferito compiere un ragionamento più ampio e sottolineare la funzionalizzazione del termine decadenziale alle esigenze proprie della disciplina attuativa dei tributi.
Secondo la Consulta, la previsione di un termine decadenziale – rigoroso, ma ragionevole – non soddisfa soltanto lo svolgimento ordinato del processo, ma è posta a tutela del valore della «definitività della posizione sostanziale […] racchiusa» negli atti di impugnabili.
Da questo approccio, discende che la “definitività” è un fenomeno sostanziale, funzionale alla soddisfazione di interessi pubblici, con il quale il processo si coordina necessariamente assumendo una posizione che non è assorbente, ma è, invece, quasi “servente”.
3. Il confronto con la Cassazione
Se, animati dal nostro pio desiderio, non abbiamo letto nella (scarna, ma essenziale) motivazione dell’ordinanza ben più di quanto i giudici delle leggi volessero esprimere, tale orientamento risulta diametralmente opposto a quello che si va facendo strada nella giurisprudenza della Corte di Cassazione.
Sono tutt’altro che poche, infatti, le sentenze dei giudici di legittimità che affermano la possibilità di impugnazioni facoltative; o si ispirano alla massima quae temporalia ad agendum, perpetua ad excipiendum; oppure ammettono l’emendabilità della dichiarazione, per la prima volta, in sede processale; o, ancora, negano la vincolatività della motivazione dei dinieghi espressi di rimborso, ecc.
Al di là del fatto che tali pronunce tutelino, a volte, le ragioni del fisco o, altre volte, quelle dei contribuenti, il fil rouge che le lega è, secondo noi, la svalutazione dell’importanza della funzione amministrativa di attuazione dei tributi e dei suoi esiti. Vi si rinviene comunque l’affermazione di una visione “panprocessuale” – quella, cioè, in cui il processo assurge a sede privilegiata per l’attuazione stessa dei tributi – che costituisce, a nostro avviso, una distorsione del sistema.
In questa prospettiva, l’approccio che, come abbiamo cercato di evidenziare, caratterizza l’ordinanza in commento, appare molto più calibrato e attesta (o, almeno, sembra attestare) che la Corte Costituzionale contrappone alla Corte di Cassazione una visione in cui si riconosce la centralità della funzione amministrativa e che, almeno dal nostro punto di vista, risulta senz’altro più corretta.