LA FATTURAZIONE DOPO LA CHIUSURA DELLA PARTITA IVA: L’AGENZIA INDICA LA SOLUZIONE OTTIMALE
Tempo di Lettura: 4 minutiCommento alla Risposta n. 52 del 2020
1. La questione
Com’è noto, la Cassazione ha ritenuto – nella sentenza resa a SS.UU. n. 8059 del 21.4.2016 – che il pagamento, nel sistema dell’imposta sul valore aggiunto, può rilevare solo ai fini dell’esigibilità dell’imposta, non per ciò che riguarda l’imponibilità in sé, la quale dipende dal verificarsi del fatto generatore che, ovviamente, preesiste alla sua esigibilità (o è ad essa contestuale).
La conseguenza di questo principio è che se fra il momento in cui l’operazione è effettuata e quello in cui l’imposta diventa esigibile il contribuente muore o comunque cessa l’attività, l’imposta si renderà comunque esigibile al momento del pagamento, perché, altrimenti, si avrebbe un’operazione cui non si applica l’imposta ancorché per essa si siano verificati tutti i presupposti dell’imponibilità e dell’esigibilità.
Sia anteriormente alla pronuncia della Cassazione, sia successivamente ad essa, la soluzione di cui si è appena detto (e che a noi è sempre parsa assai corretta e perfettamente fondata sulla distinzione unionale fra fatto generatore e fattispecie dell’esigibilità dell’imposta: cfr. G. Fransoni, Il momento impositivo nell’imposta sul valore aggiunto, Padova 2019) è stata criticata sulla base di un argomento meramente formale.
Alla soluzione fatta propria dalla ricordata giurisprudenza si è infatti opposto il fatto che è impossibile chiedere la riapertura della partita IVA a un soggetto defunto ed è comunque quantomeno incongruo richiedere tale adempimento ai suoi eredi. E la stessa incongruità sussisterebbe anche quando la riapertura IVA fosse imposta ai soggetti passivi che la abbiano chiusa molti anni prima e che, per esempio, potrebbero essere privi di taluni dei requisiti implicati dalla (ri)apertura medesima (si pensi all’avvocato o al dottore commercialista che non siano più iscritti all’albo).
D’altra parte, l’Agenzia delle Entrate – che si è immediatamente allineata alla posizione della Cassazione – in precedenza aveva anch’essa ricercato la soluzione al problema muovendo non già dal dato sostanziale (ossia dalla necessaria imponibilità della prestazione), bensì da quello formale (cioè dal quomodo e dalle condizioni secondo le quali si poteva rendere imponibile la prestazione). E, infatti, aveva postulato una “prosecuzione” necessaria (o per fictio iuris) dell’attività di liquidazione dell’attività d’impresa individuale o dell’attività professionale fino all’incasso dell’ultima fattura emessa che, oltre a risultare in contrasto con le regole civilistiche, costituiva una soluzione anche parziale perché non poteva risolvere le ipotesi – quale quella del decesso del contribuente – in cui nessuna fictio iuris può consentire di postulare la continuazione dell’attività.
Anche in questo caso, gli eredi di un contribuente defunto avevano cercato di far leva sulla difficoltà (pratica e concettuale) connessa all’apertura della partita IVA, per escludere l’imponibilità e il conseguente obbligo di fatturazione relativamente a una prestazione di servizi il cui pagamento aveva luogo molti anni dopo la morte del prestatore.
La Risposta n. 52 del 2020 fornisce, al riguardo, una soluzione del tutto corretta tanto sotto il profilo metodologico, quanto dal punto di vista operativo.
2. La soluzione
La soluzione elaborata dall’Agenzia muove assai condivisibilmente dal dato sostanziale e conferma che il pagamento delle prestazioni di servizio integra il momento impositivo anche se avvenuto dopo la morte del contribuente la quale determina, da questo punto di vista, un problema di applicazione della disciplina formale dell’imposta, ma non pone alcuna questione sotto il profilo della disciplina sostanziale.
Assunta questa corretta impostazione metodologica, l’Agenzia risolve in modo sufficientemente lineare il problema operativo, indicando:
- da un lato, che deve escludersi la possibilità (e tanto più l’obbligo) di riaprire la partita IVA da parte degli eredi (tanto se a nome del professionista deceduto, quanto se a nome proprio);
- dall’altro, che l’imponibilità dell’operazione (la quale è, giustamente, presupposta) può essere realizzata con il sistema della (auto)fatturazione da parte del committente o cessionario ai sensi dell’art. 6, comma 8, del d.lgs. n. 471 del 1997.
La soluzione indicata, come dicevamo, appare condivisibile e idonea a garantire, senza necessità di particolari stravolgimenti delle regole applicative del tributo, la coerenza fra la disciplina sostanziale (che obbliga a considerare imponibile l’operazione) e quella formale (per la quale tale obiettivo non può essere realizzato imponendo improbabili, se non impossibili, obblighi di riapertura della partita IVA).
La soluzione suddetta è stata elaborata per il caso degli eredi del soggetto che ha reso le prestazioni e dovrebbe ritenersi estensibile senza eccessivi sforzi anche a possibili altri casi in cui la fattispecie dell’esigibilità (di una prestazione della quale si sia già realizzato il fatto generatore) si realizzi dopo che, oltre ad essere cessata l’attività, sia intervenuta anche l’estinzione del soggetto.
Ma la ratio sottesa a tale imposta sembra consentire anche ulteriori estensioni.
Infatti, se non andiamo errati, essa sembra basarsi sull’idea che l’applicazione dell’imposta è un fatto meramente oggettivo che, in quanto tale, può avvenire indipendentemente dalla continuazione dell’attività (da parte del soggetto che, in precedenza, ha integrato l’elemento soggettivo del presupposto) e, quindi, senza la persistenza di una partita IVA aperta, la quale invece può sussistere solo se l’attività è iniziata e in corso.
Conseguentemente, la medesima soluzione torna applicabile anche nel caso di prestazioni la cui fattispecie dell’esigibilità si verifica dopo la cessazione dell’attività del soggetto, ma senza la estinzione del medesimo (come nel caso di persone fisiche che abbiano interrotto per qualsiasi motivo l’esercizio di attività professionali o d’impresa, ovvero nel caso della trasformazione di società commerciali in società o enti non commerciali).
L’unico limite della citata soluzione consiste nel fatto che essa non è applicabile all’ipotesi di prestazioni rese nei confronti di soggetti che non operano nell’esercizio né di imprese, né di arti o professioni.
Infatti, in quel caso, non sussistono le condizioni per l’applicazione dell’art. 6, comma 8, del d.lgs. n. 471 del 1997.
Ma si tratta di casi relativamente marginali per la cui soluzione occorrerà procedere, comunque, con il medesimo approccio pragmatico.