LE CLAUSOLE DEI CONTRATTI DI APPALTO (E SIMILARI) ALLA LUCE DELLA DISCIPLINA SULLA RESPONSABILITA’ DEL COMMITTENTE PER LE RITENUTE DOVUTE DA APPALTATORI E SUBAPPALTATORI

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Commento all’art. 17-bis del d.lgs. n. 271 del 1997


1. L’esigenza di adeguamento delle clausole contrattuali determinata dall’art. 17-bis del d.lgs. n. 241 del 1997

Come chiarito dalla Ris. n. 108 del 2019 «con riferimento alle ritenute operate a decorrere dal mese di gennaio 2020 (e, quindi, relativamente ai versamenti eseguiti nel mese di febbraio 2020), anche con riguardo ai contratti di appalto, affidamento o subappalto stipulati in un momento antecedente al 1° gennaio 2020» si renderà applicabile la disciplina di cui al nuovo art. 17-bis del d.lgs. n. 241 del 1997 introdotto dall’art. 4 del d.l. n. 124 del 2019 (di seguito, l’“art. 17-bis”).

È opinione comunemente condivisa – e, peraltro, difficilmente contestabile – che la nuova disciplina si caratterizza per un’accentuata lacunosità e presenta non pochi aspetti dubbi.

Ovviamente, tali caratteristiche si rifletteranno, in primo luogo, sui rapporti fra l’amministrazione finanziaria e coloro che sono chiamati a dare applicazione a tale disciplina e non è difficile immaginare che la stessa determinerà un contenzioso non del tutto marginale dinanzi ai giudici tributari.

Ma è altrettanto evidente che, potenzialmente, le medesime caratteristiche risultano idonee ad alimentare controversie anche nell’ambito dei rapporti fra i committenti e i relativi appaltatori, subappaltatori ecc.

A fronte di quest’ultimo rischio, sarà allora senz’altro opportuno predisporre adeguate clausole contrattuali dirette, da un lato, a prevenire i contrasti e, dall’altro, a disciplinare i rapporti fra le parti.

L’obiettivo di questo intervento è quello di tentare di avviare una riflessione empirica sul contenuto di queste clausole, fermo restando che una simile riflessione non può non essere provvisoria e ciò sia perché essa meriterà di essere completata alla luce degli ulteriori chiarimenti che l’Agenzia delle Entrate riterrà di fornire sull’argomento, sia perché essa dovrà essere affinata e integrata in base alla concreta esperienza applicativa e in ragione delle caratteristiche dei singoli contratti.

Tenendo ben ferma la precedente avvertenza, tenteremo quindi di dar conto delle principali clausole che ci sembrano suggerite dalla lettura della nuova disposizione.

Peraltro, questa riflessione di tipo empirico può essere utile anche al fine di mettere in evidenza alcuni dei molti profili di incertezza interpretativa e applicativa che caratterizzano la disposizione in esame.

Merita precisare, infine, che, ancorché nel prosieguo faremo riferimento, per comodità espositiva, alle figure dell’appaltante (o del committente), dell’appaltatore e del subappaltatore, le considerazioni che seguono possono essere estese, con gli eventuali adattamenti, alla più ampia platea dei soggetti che sono parte dei rapporti contrattuali cui si applica l’art. 17-bis. È noto, infatti, che tale disciplina riguarda l’affidamento «di una o più opere o di uno o più servizi di importo complessivo annuo superiore a euro 200.000 a un’impresa, tramite contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati».

2. Clausole sulla “prevalenza” e, in generale, sull’esistenza dei presupposti applicativi della disciplina

La speciale ipotesi di responsabilità dei committenti di cui all’art. 17-bis opera solo se la prestazione dell’appaltatore risulti caratterizzata dal «prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente con l’utilizzo di beni strumentali di proprietà di quest’ultimo».

Si tratta, a nostro avviso, di requisiti che devono sussistere congiuntamente; altrimenti detto, deve ricorrere tanto l’utilizzo della manodopera presso le sedi di attività del committente, quanto l’utilizzo (da parte della manodopera impiegata) di beni strumentali di proprietà del committente medesime.

Inoltre, mentre è chiaro che il requisito della “prevalenza” è certamente da riferire all’impiego della manodopera presso la sede del committente, non è altrettanto chiaro se si possa prescindere del tutto da un minimo di “materialità” per ciò che riguarda l’impiego di beni strumentali del committente.

Altrimenti detto, si pone certamente il dubbio se, ricorrendo gli altri requisiti, la disciplina di cui all’art. 17-bis risulti applicabile anche in presenza di un utilizzo del tutto marginale dei beni strumentali del committente. Da questo punto di vista, poi, è lecito interrogarsi se rilevi solo l’impiego di beni materiali o anche di quelli immateriali.

Attesa, quindi, la sussistenza di questi molteplici ambiti di incertezza non si possono evidentemente escludere (almeno in attesa di ulteriori indicazioni) contrasti fra le parti in ordine alla corretta interpretazione della norma. E, anche a seguito di un intervento chiarificatore, si avranno comunque casi in cui sarà dubbia la corretta applicazione della norma medesima: quantomeno circa la sussistenza del requisito della prevalenza, ma anche in ordine all’impiego di beni strumentali nonché alla nozione stessa di “sedi di attività”.

Tali incertezze si riflettono significativamente sullo svolgimento del rapporto contrattuale.

Invero, se i predetti requisiti sono rispettati, il committente che (in presenza dell’omesso versamento delle ritenute o dell’omessa trasmissione della documentazione prevista dall’art. 17-bis, comma 2) dovesse “sospendere” «il pagamento dei corrispettivi maturati dall’impresa appaltatrice o affidataria sino a concorrenza del 20 per cento del valore complessivo dell’opera o del servizio ovvero per un importo pari all’ammontare delle ritenute non versate rispetto ai dati risultanti dalla documentazione trasmessa» agirebbe legittimamente (anzi rispetterebbe un obbligo legale previsto a suo carico dal comma 3 dell’art. 17-bis); viceversa, la medesima condotta da parte del committente, in assenza dei predetti requisiti, costituirebbe un inadempimento contrattuale.

È quindi logico che il committente, ove voglia porsi al riparo dalle conseguenze derivanti dalle predette incertezze interpretative e applicative, inserisca nei contratti apposite clausole volte a salvaguardarlo dalla possibile contestazione di inadempimento.

In tal senso, sarà certamente opportuno negoziare l’inserimento nel contratto di una clausola contenente il riconoscimento da parte dell’impresa appaltatrice dell’esistenza delle condizioni per l’applicazione della norma e, in special modo, della sussistenza del requisito della “prevalenza” (p.es. “Le parti si danno reciprocamente atto che, nell’esecuzione della prestazione, l’appaltatrice utilizzerà in prevalenza manodopera presso le sedi del committente con impiego di beni strumentali propri del committente medesimo”).

3. Clausole “antifrazionamento”

Un’altra, assai rilevante, condizione per l’applicazione della disposizione è quella relativa alla soglia (su base annua) dell’importo dei corrispettivi dovuti su base annua; l’art. 17-bis si applica, infatti, solo ove tale importo sia superiore a 200.000 euro.

Non è inverosimile che, in considerazione di questo limite, alcune imprese appaltatrici tenderanno ad aggirare il limite predetto “frazionando” i contratti dal punto di vista “soggettivo”, ossia stipulando con lo stesso committente più contratti con distinte società riconducibili agli stessi soci di riferimento.

Si tratta di una pratica “abusiva” che, assai verosimilmente, sarà contrastata dalla amministrazione finanziaria e dalla giurisprudenza specialmente là dove i plurimi contratti sottoscritti con le distinte imprese abbiano ad oggetto prestazioni omogenee.

Sarà, allora, interesse del committente – nei casi in cui egli non sia consapevole e acquiescente rispetto a simili stratagemmi – ricercare una tutela a livello contrattuale.

Da questo punto di vista, potrebbero risultare utili due tipi di clausole.

Innanzi tutto, si potrebbe ricorrere a norme contrattuali che (i) obblighino le imprese appaltatrici ad attestare, sotto la propria responsabilità, l’inesistenza di contratti sottoscritti con il medesimo committente da altre società comunque riconducibili ai medesimi soci nonché (ii) impongano l’obbligo di indicare l’identità dei soci medesimi e ogni sua successiva variazione. Ovviamente, tali clausole dovrebbero essere accompagnate da idonee “sanzioni” contrattuali (ossia la comminatoria di “penali” e/o la qualificazione dell’inadempimento a siffatti obblighi come evento risolutivo del contratto).

In secondo luogo, non appare del tutto inopportuno prevedere, sempre a livello contrattuale, l’attribuzione al committente del “potere” di considerare unitariamente i contratti e applicare unilateralmente l’art. 17-bis (individuando i presupposti di tale potere, quale, ad esempio, l’omogeneità delle prestazioni oggetto dei plurimi contratti conclusi dalle imprese riconducibili a un unico socio di riferimento). In tal caso, al fine di prevenire contestazioni da parte delle imprese appaltatrici, si dovrebbe altresì pattuire la rinuncia di queste ad ogni eccezione.

4. Clausole relative alle modificazioni soggettive

Al di là del caso precedentemente segnalato – appartenente, com’è ovvio, alla patologia del rapporto – il superamento della soglia dei 200.000 euro annui potrebbe derivare da eventi del tutto fisiologici.

Ancorché l’art. 17-bis nulla dica in proposito, è senz’altro ipotizzabile, ad esempio, che, in conseguenza dell’effetto successorio proprio delle operazioni di fusione, ai fini del calcolo della soglia predetta occorra sommare agli importi dei lavori commissionati ad un’impresa appaltatrice anche quelli commissionati alle società da questa incorporate (nonché, forse, anche quelli riferibili ai rami d’azienda acquistati o conferiti) nel corso dell’anno.

Anche a tale fine, pertanto, potrebbe risultare opportuna – a meno di difformi indicazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate circa la rilevanza, ai fini dell’art. 17-bis, del citato effetto successorio – la previsione di clausole dirette a obbligare le imprese appaltatrici a dare comunicazione all’impresa appaltante di simili “modificazioni soggettive” che siano idonee, nella prospettiva qui indicata, a dare luogo al superamento della soglia.

5. Altre clausole circa il calcolo della soglia

Come si è detto, l’art. 17-bis prevede che la soglia dei 200.000 euro debba essere calcolata su base annua. La disposizione, tuttavia, non fornisce indicazioni in merito agli elementi che devono essere considerati a tale fine.

Si pone, in altri termini, il dubbio se, specie per i contratti di durata ultrannuale, si debba fare al corrispettivo risultante complessivamente dal contratto, ovvero alla quota imputabile al singolo anno. In questo secondo caso, si dovrà anche stabilire se, per individuare tale quota, occorra fare riferimento ai corrispettivi “dovuti”, “liquidati”, o “maturati” su base annua, nonché al modo di computare il termine annuale (l’anno civile o comune oppure l’anno solare).

Anche da questo punto di vista, sembrano senz’altro utili clausole contrattuali nelle quali le parti diano atto dell’esistenza (o meno) dei presupposti per l’applicazione dell’art. 17-bis.

6. Clausole relative ai rapporti con i subappaltori

Come abbiamo accennato, l’obbligo (nei confronti fisco) e il diritto (nei confronti di appaltatori e subappaltatori) del committente di esigere la documentazione relativa al versamento delle ritenute e le informazioni necessarie per il controllo della congruità di tale versamento sono assistiti, per il committente medesimo, da un potere di autotutela, consistente nel diritto-dovere di “sospendere” il pagamento dei corrispettivi dovuti agli appaltatori.

L’appaltatore, tuttavia, non dispone – a livello normativo – di un analogo potere di autotutela nei confronti dei subappaltatori, cosicché questi si trova potenzialmente esposto a subire la sospensione dei pagamenti per fatto imputabile ai propri subappaltatori.

Per rimediare a tale carenza di una disciplina normativa posta a tutela della posizione dell’appaltatore sarà necessario, pertanto, intervenire a livello negoziale, prevedendo, nei contratti di subappalto, una disciplina analoga a quella che l’art. 17-bis rende normativamente operante nei contratti di appalto.

In altri termini, l’appaltatore dovrà prevedere nei contratti di subappalto sia l’obbligo dei subappaltatori di trasmettere la documentazione prevista dall’art. 17-bis, commi 1 e 2, a sé medesimo e all’appaltante (obbligo che, peraltro, discende dalla legge, ma del quale il subappaltatore deve essere reso edotto non essendo questi sempre nella condizione di sapere se, nei rapporti fra appaltante e appaltatore, si realizzano tutte le condizioni previste dalla norma), sia il diritto dell’appaltatore di sospensione dei pagamenti dovuti al subappaltatore nei casi in cui quest’ultimo si renda inadempiente al proprio obbligo.

Pur trattandosi di una clausola che opera essenzialmente a tutela dell’appaltatore, potrà risultare opportuno, peraltro, che, a sua volta, lo stesso appaltante imponga a quest’ultimo, mediante apposita pattuizione contrattuale, l’inserimento della clausola medesima nei contratti che egli intenda, eventualmente, stipulare.

7. Clausole di esonero da responsabilità

Il diritto alla “sospensione” dei pagamenti, come abbiamo detto, ove esercitato in assenza dei relativi presupposti espone l’appaltante a contestazioni circa l’adempimento delle proprie obbligazioni contrattuali.

Poiché il corretto esercizio del diritto alla “sospensione” dipende anche dall’effettuazione di calcoli che, per definizione, presenta margini di errore, l’appaltante sarà certamente interessato a prevedere contrattualmente un esonero da responsabilità per i casi in cui, proprio per effetto di tali errori, la “sospensione” sia disposta indebitamente.

Ovviamente, il tenore di tali clausole dipenderà dalla forza contrattuale delle parti, essendo più che plausibile che l’appaltatore tenda circoscrivere la portata dell’esonero quantomeno escludendone l’operatività rispetto ai casi in cui l’errore sia particolarmente evidente.

8. Clausole riguardanti i termini

L’art. 17-bis prevede che la documentazione delle ritenute operate e versate sia trasmessa dall’appaltatore e dai subappaltatori, unitamente alle ulteriori informazioni necessarie ai fini della verifica della corretta determinazione del relativo ammontare, «entro i cinque giorni lavorativi successivi alla scadenza del versamenti».

Questo termine è quello massimo previsto dalla legge e dal suo inutile decorso discendono le conseguenze previste dalla norma.

Tuttavia, è evidente che le parti possono derogare a tale termine sia pure al solo fine di anticipare la trasmissione dei documenti richiesti.

Peraltro, questa anticipazione può essere disciplinata in due modi diversi (fra loro anche “combinabili”); cioè sia prevedendo che la trasmissione avvenga entro un termine più breve comunque decorrente dalla “scadenza del termine per il versamento”, sia imponendo che il versamento venga effettuato anticipatamente rispetto alla scadenza.

La pattuizione di simili obblighi di comportamento, nei limiti in cui siano effettivamente esigibili nei rapporti operativi fra le parti contrattuali, si palesa certamente utile al fine di agevolare la posizione dei committenti per i quali il termine di cinque giorni lavorativi, specie in presenza di plurimi rapporti contrattuali ricadenti nell’ambito di applicazione dell’art. 17-bis, può risultare eccessivamente breve al fine di svolgere i controlli imposti loro da questa disciplina.

9. Clausole riguardanti la cessazione della sospensione

La sospensione dei pagamenti – obbligatoria nel caso di omessa trasmissione delle informazioni relative alle ritenute operate o di omesso o insufficiente versamento delle ritenute – può essere legittimamente disposta solo «finché perdura l’inadempimento» (così l’art. 17-bis, comma 3).

L’estrema essenzialità di questa previsione rende necessaria, probabilmente, l’introduzione nei contratti di appalto (e in quelli di subappalto) di clausole contrattuali volte a disciplinare, innanzi tutto, le modalità con le quali l’appaltatore e il subappaltatore possono dare dimostrazione della cessazione dell’inadempimento nonché se tale evento si realizza con il solo nel versamento delle ritenute ovvero se, a tal fine, sia necessario anche procedere al perfezionamento del ravvedimento operoso versando, correttamente, le sanzioni e gli interessi.

Inoltre, si dovrà prevedere un termine a favore dell’appaltante per il controllo della idoneità della documentazione predetta a dimostrare la cessazione dell’inadempimento e, verosimilmente, un ulteriore termine entro il quale l’appaltante deve procedere al pagamento corrispettivo precedentemente “sospeso”.

10. Clausole relative alla circolazione del credito

Da un punto di vista generale, questa disciplina renderà certamente meno agevole per appaltatori e subappaltatori ricorrere a forme di finanziamento basate sulla cessione dei crediti derivanti dai contratti di appalto o subappalto.

Ed è immaginabile che, comunque, l’esistenza della possibilità di “sospensione” del pagamento influirà anche sulle clausole contrattuali proprie dei contratti di cessione dei crediti.

Peraltro, è logicamente prospettabile che alcuni limiti alla cessione dei crediti siano inserite negli stessi contratti di appalto al fine di tutelare l’appaltante dalla possibile eccezione del cessionario dell’inopponibilità al medesimo delle cause che legittimano la “sospensione”.

11. Clausole in materia di contenzioso tributario

La violazione della disciplina di cui all’art. 17-bis rende l’appaltante soggetto «al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata all’impresa appaltatrice o affidataria o subappaltatrice per la violazione degli obblighi di corretta determinazione delle ritenute e di corretta esecuzione delle stesse, nonché di tempestivo versamento».

Poiché l’entità della somma (rectius sanzione) dovuta dall’appaltante è parametrata alla sanzione “irrogata” all’impresa appaltatrice e non alla sanzione “irrogabile”, vi è un evidente stretto rapporto di pregiudizialità-dipendenza fra irrogazione della sanzione all’appaltatore o al subappaltatore e irrogazione della sanzione all’appaltante.

Detto diversamente, non solo l’applicazione della sanzione all’appaltante sarà cronologicamente successiva all’irrogazione della sanzione nei confronti dell’appaltatore, ma (con la possibile eccezione delle cause di inapplicabilità strettamente “personali”), le vicende dell’atto di irrogazione delle sanzioni emesso nei confronti dell’appaltatore si rifletteranno sull’irrogazione delle sanzioni nei confronti dell’appaltante.

Questo assetto – che produrrà comunque non poche incertezze sul piano del contenzioso tributario – implica l’opportunità, per quanto riguarda il piano contrattuale qui rilevante e specialmente nell’interesse dell’appaltante, di disciplinare (sia pure con possibili diversi gradi d’intensità) il “coordinamento” fra le iniziative dell’appaltante e quelle appaltatore ai fini della rispettiva tutela giurisdizionale.

A un livello minimo, tali clausole dovrebbero prevedere un obbligo di informativa dell’appaltatore (e del subappaltatore) relativo all’avvenuta notifica di atti di irrogazione di sanzioni (ivi incluse le comunicazioni di irregolarità e le iscrizioni a ruolo ai sensi degli artt. 36-bis e 36-ter del d.P.R. n. 600 del1973) e la fissazione di regole volte a disciplinare in quali casi l’appaltatore debba comunque definire, se possibile, la sanzione o debba contestarla nonché, eventualmente, il coinvolgimento dell’appaltante nel giudizio promosso dall’appaltatore.

Verosimilmente, tali clausole dovrebbero essere dotate, poi, di una certa “ultrattività” ossia essere destinate a sopravvivere alla conclusione degli effetti del contratto per ciò che attiene alle obbligazioni principali delle parti.

Non sarà inusuale, inoltre, che, proprio in considerazione di ciò, vengano previste apposite forme di garanzia anche fideiussorie.

Peraltro, poiché tali clausole disciplinano anche – in via diretta – i rapporti fra appaltante e subappaltatore, sarà necessario che il contratto di appalto ne preveda l’obbligatorio inserimento anche nei contratti di subappalto.

12. Clausole di manleva e rivalsa

Per concludere questa rassegna, certamente non esaustiva, delle clausole contrattuali il cui inserimento nei contratti di appalto risulterà necessaria o opportuna in conseguenza della disciplina della responsabilità prevista dall’art. 17-bis, è opportuno segnalare che proprio il ricordato rapporto di dipendenza fra la “somma” dovuta dall’appaltante e la sanzione irrogata all’appaltatore evidenzia che tale conseguenza in capo all’appaltante è l’effetto di una condotta solo in parte al medesimo imputabile.

Certamente, l’appaltante dispone degli strumenti per sottrarsi alle conseguenze negative dell’inadempimento dell’appaltatore ai propri obblighi di versamento, ma qualora, per qualsivoglia motivo, egli risulti debitore nei confronti del fisco, tale debito trae origine, in ultima analisi, da un inadempimento dell’appaltatore (o del subappaltatore).

Non sembra quindi in alcun modo ingiustificata la pretesa dell’appaltante di essere manlevato, dall’appaltatore e dai relativi subappaltatori, da tali conseguenze pregiudizievoli anche prevedendo, ove possibile, specifici diritti di rivalsa sui corrispettivi dovuti.

Ovviamente, anche tale obbligo di manleva (estensibile anche agli eventuali oneri per la difesa in giudizio) e il diritto di rivalsa devono formare oggetto di pattuizione contrattuale.

In questo senso, la scelta del legislatore di denominare quanto dovuto dall’appaltante semplicemente come “somma” e non come “sanzione” (ancorché la natura formalmente e sostanzialmente sanzionatoria sia indubbia) potrebbe essere stata determinata proprio dalla volontà di evitare l’uso di un termine che, forse, avrebbe potuto alimentare dubbi circa la possibilità di disporre contrattualmente della sua debenza.

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