LE SOCIETÀ FIDUCIARIE E L’ESONERO DAL VERSAMENTO DEL SALDO E DELL’ACCONTO IRAP EX ART. 24 DEL “DECRETO RILANCIO”

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1. La questione

L’art. 24 del d.l. n. 34 del 2020 (più noto come “Decreto Rilancio”) rende nuovamente (e forse più acutamente) attuale il problema della applicazione nei confronti delle società fiduciarie (o, meglio, di alcune di esse) di talune discipline fiscali relative agli “intermediari finanziari”.

In particolare, nel caso di specie, il problema deriva dal fatto che la particolare misura prevista dall’art. 24, co. 1, del d.l. n. 34 del 2020 – consistente nell’escludere la debenza del saldo dell’i.r.a.p. relativo al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2019 e dell’acconto della medesima imposta relativo al periodo d’imposta successivo – non è applicabile ai «soggetti di cui all’art. 162-bis» del t.u.i.r.

Il riferimento all’art. 162-bis del t.u.i.r. dischiude la porta – secondo un pessimo vezzo della legislazione italiana – a una serie di rinvii. Infatti, il comma 1, n. 1, lett. a) della disposizione appena citata qualifica come “intermediari finanziari” i soggetti di cui all’art. 2, comma 1, lettera c), del d.lgs. 28 febbraio 2005, n. 38; tale disposizione, a sua volta, include fra i soggetti cui si applica la disciplina propria di tale decreto «le società finanziarie iscritte nell’albo di cui all’articolo 106» del t.u.b.; il richiamo dell’art. 106 del t.u.b. implica, a sua volta, il rinvio all’art. 199 del t.u.f. il cui secondo comma prevede l’obbligo di iscrizione in una sezione separata dell’albo medesimo delle società fiduciarie controllate direttamente o indirettamente da una banca.

Conseguentemente, una lettura “meccanica” di questa catena di rinvii condurrebbe alla conclusione secondo cui le società fiduciarie, ove siano iscritte nella predetta sezione separata dell’albo di cui all’art. 106 del t.u.b. sarebbero escluse dalla misura di sostegno disciplinata dall’art. 24 del Decreto Rilancio.

Come accennavamo, si tratta di un problema non nuovo, in quanto analoghe ragioni di tecnica normativa – in quel caso, a dire il vero, si trattava del rinvio al d.lgs. n. 87 del 1992, ma il problema era il medesimo – avevano fatto sorgere il dubbio (risolto negativamente, peraltro, da Assofiduciaria con la Com. n. 39 del 2017) che le società fiduciarie iscritte nella sezione separata dell’albo di cui all’art. 106 t.u.b. fossero soggette all’addizionale di cui all’art. 2, co. 2, del d.l. n. 133 del 2013 e, poi, a quella di cui all’art. 1, co. 65, del d.l. n. 208 del 2015.

E, comunque, il problema si pone, in generale, nel caso di quei regimi che rinviano genericamente all’art. 162-bis del t.u.i.r. quale disposizione recante la “definizione”, ai fini delle imposte sui redditi, di “intermediari finanziari”: si pensi, ad esempio, agli artt. 96 e 106 del t.u.i.r.

Sul piano dei principi costituzionali e su quello della tecnica interpretativa vi sono, tuttavia, solidi motivi che consentono di respingere l’interpretazione meccanicamente letterale prima prospettata.

Esamineremo per prime le ragioni di ordine costituzionale perché servono ad agevolare la comprensione delle ragioni che inducono altresì a ritenere che, anche da un punto di vista “testuale”, la predetta interpretazione è tutt’altro che “irresistibile”.

2. I motivi di ordine costituzionale

La recentissima sentenza della Corte Costituzionale n. 288 del 2019 – più nota perché ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale relativa all’addizionale i.re.s. per le banche e le imprese di assicurazioni – contiene numerose affermazioni che meritano di essere tenute in particolare considerazione nel momento in cui si interpretano le norme tributarie avendo presente, come si deve, l’obiettivo di pervenire a un’interpretazione conforme a Costituzione.

In particolare, la Corte ha affermato: (i) che la caratteristica di collocarsi in un mercato vigilato è «di per sé ininfluente» al fine di applicare un regime fiscale differenziato e soprattutto (ii) che, al tempo stesso, «ogni diversificazione del regime tributario, per aree economiche o per tipologia di contribuenti, deve essere supportata da adeguate giustificazioni».

Altrimenti detto, in linea di principio, le diversificazioni dei regimi tributari devono dipendere da diversità oggettive nella selezione delle quali il legislatore ha ampia discrezionalità, con il limite della non arbitrarietà; viceversa, nei casi in cui la diversificazione è operata, non in dipendenza di circostanze oggettive, ma “per tipologie di contribuenti” (quindi in dipendenza dei caratteri soggettivi), la discrezionalità del legislatore si restringe fortemente. In questo secondo caso, cioè, non vale più l’ampio limite della non manifesta arbitrarietà, ma quello più stringente della “adeguatezza della giustificazione”.

D’altra parte, si tratta di una linea di pensiero assolutamente non nuova nella giurisprudenza della Corte Costituzionale la quale da sempre afferma la tendenziale illegittimità di regimi differenziati «non già in ragione della concreta manifestazione di maggiore capacità contributiva, bensì in funzione della mera qualità soggettiva» dei destinatari del regime (cfr. Corte Cost. n. 41 del 1999).

Ove si muova da queste coordinate, si potrebbe certamente e in primo luogo dubitare della stessa legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 2, del Decreto Rilancio. Invero, si può dire che, ammesso (e difficilmente concesso) che davvero siano esistenti “ragioni” per un trattamento differenziato di tutti i soggetti di cui all’art. 162-bis del t.u.i.r., queste (ragioni) sono tutt’altro che facilmente individuabili. E quando una ragione non è immediatamente individuabile ci sono seri dubbi che essa possa essere davvero “adeguata”. Questo perché la platea dei soggetti esclusi mediante il rinvio all’art. 162-bis del t.u.i.r. è assai vasta e del tutto eterogenea, cosicché è tutt’altro che semplice immaginare che essi abbiano un elemento comune che ne giustifichi l’indifferenziata esclusione dal regime i.r.a.p. previsto per gli altri soggetti.

Ma, pur volendo prescindere da questo dubbio più radicale (che merita altro approfondimento e comporta altri dubbi di costituzionalità dell’art. 24 del Decreto Rilancio), è certamente impossibile individuare qualsivoglia giustificazione idonea a legittimare una diversità di trattamento relativa a una medesima categoria di soggetti – quella delle società fiduciarie – che non sia quella estrinseca e costituzionalmente “di per sé ininfluente” (per usare le parole della Corte) qual è quella dell’iscrizione (o meno) in un albo.

Tanto più che, come abbiamo già accennato e avremo modo di ribadire immediatamente, tale iscrizione non avviene nell’albo ordinario, ma in una sezione separata e non ai fini autorizzativi normalmente implicati dalla iscrizione, bensì per ragioni di mero controllo.

In altri termini, il diverso regime cui sarebbero sottoposte le società fiduciarie iscritte all’albo di cui all’art. 106 t.u.b. sarebbe fondato proprio ed esclusivamente su una “mera qualità soggettiva” estrinseca e, come tale, inidonea a fornire una “adeguata giustificazione” del regime differenziato riservato a tali società fiduciarie non solo rispetto alle altre società che operano nel settore della prestazione dei servizi, ma anche avuto riguardo alle società fiduciarie che svolgono un’attività in tutto e per tutto uguale senza appartenere a un gruppo bancario.

Una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 24, co. 2, del Decreto Rilancio obbliga, quindi, a ritenere non operante l’esclusione dal regime di cui al comma precedente per tutte le società fiduciarie; e ciò indipendentemente dalla loro iscrizione nella sezione separata dell’albo di cui all’art. 106 t.u.b.

3. Le ragioni di ordine testuale

Come si era anticipato, la conclusione cui siamo pervenuti è certamente il riflesso di un’interpretazione costituzionalmente orientata, ma, a nostro avviso, essa non implica alcuna forzatura del testo normativo.

Se, infatti, ci si sforza di operare una lettura “ragionata” della catena di rinvii attraverso la quale il legislatore ha disciplinato la materia, non è particolarmente difficile (anche avendo presente le considerazioni che precedono) giungere alla medesima conclusione anche sulla base di argomenti meramente testuali.

Come si è detto, l’art. 162-bis, co. 1, n. 1, lett. a) definisce come “intermediari finanziari” i soggetti di cui all’art. 2, co. 1, lett. c) del d.lgs. n. 38 del 2005.

Ora, tale disposizione non fa riferimento, per la parte che a noi interessa, alle “società” di cui all’art. 106 del t.u.b., bensì alle “società finanziarie” il che è coerente con la natura composita dell’albo.

Infatti, l’art. 1, co. 1, lett. f) del regolamento attuativo dell’albo medesimo (recato dal d.m. n. 58 del 2015) precisa che i soggetti iscritti nell’albo sono “intermediari finanziari” con esclusione «delle fiduciarie iscritte nella sezione speciale dell’albo».

Le società fiduciarie, quindi, secondo il nostro ordinamento – pur essendo iscritte nell’albo (recte nella sua sezione speciale) – non partecipano della medesima natura di tutte le altre società ivi iscritte. Non a caso, la Banca d’Italia, nelle proprie istruzioni di vigilanza, ha cura di chiarire che tale iscrizione è finalizzata esclusivamente a «assicurare il rispetto delle disposizioni in materia di antiriciclaggio contenute nel d.lgs 231/2007» (cfr. Istruzioni di Vigilanza, Titolo VII, Capitolo 2).

In questa prospettiva, pertanto, il già citato rinvio operato dall’art. 2, co. 1, lett. c) del d.lgs. n. 38 del 2005 alle “società finanziarie” (e non alle società tout) di cui all’art. 106 t.u.b. si presta senz’altro a essere letto nel senso di risultare applicabile solo alle società che siano iscritte nella sezione ordinaria e per le quali l’iscrizione costituisce il presupposto per l’esercizio dell’attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma.

Questa conclusione trova un preciso riscontro, peraltro, nella considerazione che l’elencazione contenuta nel citato art. 2 del d.lgs. 38 del 2005 è funzionale all’individuazione dei soggetti che, ai sensi dei successivi artt. 3 e 4, sono tenuti alla redazione del bilancio consolidato e d’esercizio in base ai principi contabili internazionali.

Tuttavia, proprio questa circostanza evidenzia come il riferimento alle “società finanziarie iscritte nell’albo di cui all’articolo 106” del t.u.b. contenuto nel predetto art. 2, co. 1, lett. c) non può includere anche le società fiduciarie le quali – come confermato anche di recente dalla Banca d’Italia nel documento di consultazione di Febbraio 2020 – non sono soggette alla disciplina di cui al d.l. n. 38 del 2005, ma a quella di cui all’art. 16 del d.m. 16 gennaio 1995 che prevede, per tali soggetti, l’obbligo di «redigere il bilancio di esercizio sulla base delle norme del codice civile e delle indicazioni contenute nei principi contabili emanati dall’Organismo Italiano di Contabilità (OIC)» ovvero la facoltà, ma solo ove ricorrano determinate condizioni, di predisporlo «sulla base del provvedimento della Banca d’Italia “Il bilancio degli intermediari IFRS diversi dagli intermediari bancari» (invero, l’art. 16 cit., concede tale facoltà solo in via d’eccezione come dimostra la formula secondo cui per i soggetti in questione «è fatta salva, per motivi di continuità aziendale e per facilitare la funzione di «vigilanza consolidata» della Banca d’Italia, la possibilità di proseguire secondo lo schema già adottato».

La conclusione di questa analisi sembra evidente: le società fiduciarie non sono, per i motivi anzi detti, uno dei soggetti contemplati dall’art. 2, co. 1, lett. c) del d.l. n. 38 del 2005.

Cosicché, ripercorrendo a ritroso la catena dei rinvii normativi, esse non sono altresì un “intermediario finanziario” ai sensi dell’art. 162-bis del t.u.i.r. in quanto tali soggetti sono individuati mediante rinvio all’art. 2, co. 1, lett. c) del d.l. n. 38 del 2005 che, come si è appena detto, non comprende anche le società fiduciarie.

Infine, le società fiduciarie non sono uno dei soggetti esclusi dall’applicazione della misura di cui all’art. 24, co. 1, del Decreto Rilancio in quanto il rinvio all’art. 162-bis del t.u.i.r. non vale, conseguentemente, a ricomprenderle nell’ambito soggettivo di applicazione di tale esclusione.

In questo modo, pertanto, l’interpretazione testuale (ma non meccanica) dell’art. 24 del Decreto Rilancio (e dei rinvii dallo stesso implicati) si salda perfettamente con l’interpretazione costituzionalmente orientata di tale disciplina (secondo una prospettiva che, sia pure ad altri fini, ha avuto il già citato avallo di Assofiduciaria e della dottrina: cfr. M. Folli – M. Piazza, Definite le regole per le holding e le altre finanziarie non vigilate da Banca d’Italia, in il fisco, 2019, 261).

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