Guglielmo Fransoni

DAC 6: LA NOZIONE DI “CONTO FINANZIARIO” FRA RINVIO E PRESUPPOSIZIONE

1. Lo scopo di questa riflessione

In un precedente intervento sul tema della DAC 6 (cfr. DAC 6: La genericità della disciplina rende indispensabile il suo completamento a livello interpretativo) abbiamo posto in evidenza che uno dei maggiori problemi determinato da questa disciplina – di prossima introduzione e applicazione anche in Italia – consiste nella necessità (e nella difficoltà) di “concettualizzare” le formule che essa impiega per descrivere le fattispecie costitutive dell’obbligo di comunicazione.

In quella sede si è evidenziato che la difficoltà di tale attività ermeneutica – perché, in fin dei conti, si tratta di un problema interpretativo – è data dal fatto che le formule in questione intendono rappresentare talune fattispecie che sono intrinsecamente “sfuggenti” per una molteplicità di ragioni fra le quali assumono un ruolo preminente sia il carattere elusivo della vicenda che esse (formule) sono chiamate a individuare, sia il carattere “transnazionale” di tali vicende e, quindi, la necessaria considerazione di plurimi sistemi normativi (potenzialmente elusi).

Strettamente connesso a quest’ultimo tema vi è il fatto che le disposizioni della DAC 6 non fanno riferimento ad azioni umane, ma, come si è appena accennato, ad atti, fatti o rapporti giuridici, cioè atti, fatti o rapporti qualificati da norme.

Viene, quindi, in rilievo un altro e connesso problema: quello di individuare a quali sistemi di norme occorre fare riferimento per qualificare tali atti e fatti.

In questa sede, per dare maggiore concretezza al discorso, prenderemo in esame solo una delle disposizioni rilevanti e, precisamente, quella di cui all’Allegato 1, Parte D, n. 1.a) dello schema di decreto legislativo di recepimento.

Lo scopo che ci proponiamo non è, evidentemente, quello di risolvere i problemi che questa disposizione pone. Più limitatamente, ci sembra utile cercare di porre analiticamente in evidenza quali siano tali problemi e, possibilmente, come essi potrebbero essere affrontati.

In questo modo, è forse possibile conseguire un duplice obiettivo di metodo: quello di formulare alcune indicazioni (del tutto preliminari e provvisorie) circa la corretta interpretazione della disposizione esaminata e quello di porre alcune premesse in ordine ai criteri interpretativi della generalità delle disposizioni della DAC 6, per come sarà recepita nel nostro ordinamento.

2. Il criterio distintivo specifico di cui alla Parte D, n. 1.a) dell’Allegato 1 dello schema di decreto legislativo di recepimento della DAC 6

La disposizione della quale ci occuperemo in questa sede è uno degli hallmark specifici previsti dalla DAC 6 e, in particolare, il primo degli hallmark che denotano un “meccanismo” finalizzato a «compromettere l’obbligo di comunicazione» di cui alla «disciplina sullo scambio automatico di informazioni sui conti finanziari».

A questo riguardo, è utile precisare fin da subito che la disciplina suscettibile di essere compromessa non è, ai sensi della disposizione citata, solo quella sullo scambio d’informazioni sui conti finanziari prevista a livello unionale. Infatti, il n. 1 della Parte D dell’Allegato 1 precisa che la “compromissione” che determina l’obbligo di comunicazione è quella della «normativa dell’Unione o eventuali accordi equivalenti […] compresi accordi con i paesi terzi».

L’importanza di tale specificazione risulterà chiara nel prosieguo.

La lettera a) del n. 1 cit. individua tale hallmark nei termini seguenti «l’uso di un conto, prodotto o investimento che non è un conto finanziario, o non appare come tale, ma ha le caratteristiche sostanzialmente simili a un conto finanziario».

Appare evidente che, rispetto a questa disposizione, assume rilevanza centrale stabilire cosa sia un “conto finanziario”. Solo se si definisce adeguatamente tale nozione, si è in grado di stabilire sia se “il conto, prodotto o investimento” di cui si sta facendo “uso” è diverso (o “appare” diverso) da un conto finanziario, sia se, nonostante tale diversità, esso abbia caratteristiche sostanzialmente simili a un “conto finanziario”.

Detto diversamente, l’obbligo di comunicazione non sussiste né nel caso in cui il “conto” che viene usato è un “conto finanziario” (perché in tal caso non ricorre il carattere della “diversità”), né nel caso in cui il “conto” utilizzato sia (oltre che formalmente, anche) sostanzialmente diverso da un “conto finanziario”.

3. La nozione di conto finanziario

A conferma di quanto si è detto in premessa, è palese che la nozione di “conto finanziario” è una nozione squisitamente giuridica.

Evidentemente, la norma rinvia a (o, per meglio dire, presuppone) una norma che reca la definizione di “conto finanziario”.

Si pone, allora, un primo problema di individuazione del sistema normativo rilevante: qual è, cioè, il ordinamento dal quale ricavare la nozione di “conto finanziario”?. Occorre fare riferimento alla nozione interna, alla nozione unionale o a un’altra nozione ancora?.

La definizione unionale di “conto finanziario” è recata dall’Allegato 1, Sez. VIII, Parte C, dell’Allegato 1 alla Direttiva 2011/16/UE.

Tale definizione è “praticamente” coincidente con quella contenuta nell’art. 1, comma 2, del D.M. 28 dicembre 2015.

Ma le due definizioni non sono esattamente identiche: per esempio vi sono differenze per ciò che attiene alla definizione di “conto di custodia” (dove la disposizione interna contiene una specificazione assente nella norma unionale) e per ciò che riguarda la nozione di “contratto di assicurazione per il quale è misurabile un valore maturato” (perché la disposizione interna contiene un rinvio alla disciplina nazionale in materia di assicurazioni che, ovviamente, manca nella norma unionale).

Ovviamente, quelli appena indicati sono solo due esempi e non hanno certamente il pregio dell’esaustività.

Tuttavia, il problema non può essere superato semplicemente facendo leva sull’argomento per cui la disciplina unionale prevale su quella interna che deve essere applicata conformemente alla prima.

E questo perché, come avevamo puntualizzato in precedenza, le comunicazioni previste dalla DAC 6 devono essere fatte anche nei casi in cui lo scambio d’informazioni suscettibile di essere compromesso dal “meccanismo” (suscettibile di comunicazione) non è solo quello rilevante ai fini della Direttiva, bensì anche quello previsto da altri accordi con paesi terzi.

Viene, quindi, in rilievo, in primo luogo, la disciplina FATCA la quale è articolata su definizioni in larga misura coincidenti con quelle della Direttiva e con quelle del D.M. 28 dicembre 2015, ma senza che, anche in questo caso, vi sia perfetta coincidenza.

L’art. 1 del D.M. 6 agosto 2015, infatti, disciplina ai nn. 14 ss. la nozione di Financial Account – Conto Finanziario secondo una logica non dissimile da quella contenuta nella Direttiva e nel D.M. 28 dicembre 2015. Ma somiglianza non significa affatto coincidenza.

Peraltro, sia ai sensi della disciplina unionale, sia agli effetti della disciplina FATCA, il conto finanziario, per essere tale, deve essere intrattenuto presso un’Istituzione Finanziaria.

Ed anche qui, le nozioni unionali e quelle pattizie non sono affatto perfettamente sovrapponibili (in primis, nella definizione di Istituzione Finanziaria di cui al D.M. 28 dicembre 2015 non è espressamente inclusa quella di Holding Company che è invece presente nella definizione del D.M. 6 agosto 2015).

Né si può omettere di considerare la possibilità che, nel tempo, vi siano altri accordi con paesi terzi recanti nozioni di “Conto Finanziario” ancora diverse.

Il citato riferimento anche agli accordi sullo scambio di informazioni con paesi terzi, sembrerebbe deporre a favore della soluzione consistente nel fare riferimento alla nozione “interna” di conto finanziario.

Ma anche questa indicazione non è del tutto tranquillizzante perché, come abbiamo appena detto, la nozione non è univoca neppure se riguardata dal solo punto di vista dell’ordinamento interno.

E questo pone l’interprete dinanzi all’alternativa di adottare una nozione “sintetica”, ossia che individui i caratteri generali del “conto finanziario” validi per tutti i possibili contesti; oppure una nozione “ambulatoria” da adeguare a seconda del contesto. Ma questa seconda scelta implicherebbe anche la necessità di individuare un criterio di selezione per stabilire qual è il contesto che richiede l’adozione di una nozione piuttosto che un’altra.

4. La nozione di “conto”

La scelta di fare riferimento alla nozione interna di “conto finanziario” sembrerebbe peraltro trovare conferma nell’ulteriore considerazione che tutte le diverse definizioni, peraltro, assumono come presupposta la nozione di “conto”.

Ma anche questa è una nozione giuridica perché, con ogni evidenza, non esiste il “conto” come “luogo” della realtà sensibile.

Sebbene, quindi, la nozione di “conto” – rilevante ai fini della più specifica nozione di “conto finanziario” – possa e debba essere dedotta anche muovendo da quest’ultima nozione (e dalla ratio delle disposizioni che l’assumono a termine di riferimento), non è inverosimile che le indicazioni indirettamente desumibili dal complesso di discipline prima indicato debbano essere integrate con altri riferimenti normativi al fine di stabilire, specie in taluni casi “limite”, se ciò che viene in rilievo è o meno un “conto”.

E questo è tanto più vero là dove, come avviene nel caso della DAC 6, la fattispecie costitutive dell’obbligo di comunicazione è data dal fatto che il meccanismo implichi l’uso di ciò che non è un conto finanziario. Circostanza che può verificarsi sia per assenza dei caratteri della “finanziarietà”, sia per l’assenza dei caratteri propri del “conto”.

Se, come sembra plausibile, la nozione di “conto” deve essere fondata sulla disciplina interna (sia quella relativa allo scambio d’informazioni, sia quella riguardante le operazioni bancarie in senso lato), dovrà ulteriormente sciogliersi il dubbio di quali siano i caratteri tipici e rilevanti ai fini di questa nozione che, nel diritto, interno evoca, com’è noto, sia un “contratto”, sia una modalità di “scritturazione” (per l’appunto, “in conto”) delle vicende economiche relative ai rapporti contrattuali.

5. La nozione di “sostanziale similarità”

Una volta che si sia riuscito a inquadrare cosa s’intende per “conto finanziario”, si dovrà determinare quali siano i suoi elementi essenziali e caratterizzanti, al fine di stabilire quando un “conto, prodotto o investimento” pur non essendo un “conto finanziario” – ossia, pur non avendo tutte le caratteristiche necessarie per qualificarlo come tale – presenta, comunque, talune caratteristiche che ne consentono l’assimilazione sotto il profilo della “sostanza”, cioè dal punto di vista degli elementi “essenziali”.

Questo raffronto deve essere fatto avendo riguardo alla disciplina dello scambio d’informazioni, perché ciò che è essenziale in questa prospettiva, potrebbe non esserlo in un’altra.

Anche da questo punto di vista, quindi, non si può prescindere dall’aver presente qual è la disciplina relativa allo scambio d’informazioni cui si deve fare riferimento ove, com’è nel nostro caso, ve ne sia più di una.

6. I rilevanti elementi di incertezza per gli intermediari

Il quadro che emerge dalle precedenti considerazioni depone per la presenza di notevoli profili di incertezza i quali sono determinati, oltre che dagli ordinari problemi interpretativi, anche dal carattere transazionale della disciplina.

Normalmente, i problemi interpretativi relativi alla legge regolatrice vengono risolti attraverso norme di diritto internazionale di “rinvio”.

Nel caso della DAC 6 si è scelto di formulare le disposizioni attraverso la tecnica della presupposizione, ossia dando per acquisito il senso che alcune nozioni hanno a livello ordinamentale, senza specificare, però, qual è l’ordinamento presupposto.

Questo significa che gli interpreti e, soprattutto, gli operatori, saranno chiamati a uno sforzo non lieve per risolvere i dubbi che si addensano sulla materia.

Si tratta, ovviamente, di una considerazione che non riguarda coloro che sono obbligati alla comunicazione in virtù del loro coinvolgimento nella “progettazione” del meccanismo. Chi ha curato tale progettazione è, naturalmente, ben conscio della natura e degli effetti del meccanismo.

Ma ben altra è la situazione dei tanti intermediari che, invece, nella loro ordinaria attività, possono essere coinvolti nella fase esecutiva senza aver avuto parte nell’ideazione del meccanismo, sono tuttavia chiamati a sincerarsi di non avere «un ragionevole motivo per concludere che il meccanismo sia rilevante».

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