Guglielmo Fransoni

DECRETO “LIQUIDITA’” E L’INCOSTITUZIONALE DISPARITA’ DI TRATTAMENTO NELLA NORMA SULLA SOSPENSIONE DEI VERSAMENTI

Commento all’art. 18 del d.l. 8 aprile 2020, n. 23


1. L’esigenza di una distinzione

Nel momento in cui il legislatore ha deciso come disciplinare la sospensione dei versamenti tributari e contributivi, ha dovuto misurarsi con due, correlate, esigenze.

La prima è consistita in evidenti vincoli di bilancio. La sospensione dei versamenti di i.v.a., ritenute e contributi trova un evidente limite nella capacità del bilancio dello Stato a fare fronte a un simile e assai gravoso impegno. Quindi, essa deve essere concessa con il necessario discernimento per circoscrivere quanto più possibile l’onere a carico delle casse dello Stato.

La seconda è connessa alla circostanza per cui, essendo la sospensione una misura rivolta ad alleviare gli effetti derivanti dalla perdita di liquidità che le imprese hanno subito a seguito dell’emergenza epidemiologica, occorre differenziare, conseguentemente, i soggetti che tale perdita hanno effettivamente conseguito da coloro per i quali il lock-down non ha determinato un simile effetto o, comunque, lo ha prodotto in modo più attenuato e tale da consentire comunque di far fronte con minore sforzo all’esborso corrispondente alle imposte e ai contributi dovuti.

L’insieme di queste due esigenze – pienamente comprensibili e giustificabili – non poteva non comportare l’introduzione di regole normative finalizzate a discriminare razionalmente fra soggetti effettivamente bisognosi di un intervento volto a mitigare le conseguenze della perdita di liquidità e soggetti che di una simile agevolazione non hanno necessità (o per i quali tale bisogno si presenta significativamente ridotto).

L’introduzione di tali regole può, effettivamente, soddisfare la duplice esigenza di limitare la perdita di gettito e di tarare l’intervento in modo da centrare l’obiettivo che la norma si propone senza disperdere risorse a vantaggio di chi non ne ha effettivo bisogno.

È comprensibilissimo, quindi, che l’art. 18 del d.l. 8 aprile 2020, n. 23 non si risolva in una indiscriminata concessione della sospensione dei versamenti, ma preveda anche taluni requisiti di accesso a tale agevolazione.

2. È mancato l’esprit de finesse

Tutto bene, quindi?

Crediamo di dover dare una risposta del tutto negativa a questa domanda.

Perché è vero che, come abbiamo appena detto, una distinzione andava fatta e la sospensione non poteva essere concessa a tutti (visto che non ci sono i mezzi per una concessione generalizzata e non tutti ne hanno uguale necessità), ma il criterio su cui fondare tale distinzione doveva rispondere al principio di ragionevolezza.

Altrimenti detto, se si voleva (giustamente) differenziare la posizione di coloro che sono davvero bisognosi di veder alleviata la propria condizione di sofferenza finanziaria da quella di chi, invece, tale bisogno non ha, occorreva fondare la distinzione su qualche elemento che, effettivamente, fosse idoneo a dare fondamento (sia pure in termini generali e astratti) a tale distinzione.

In poche parole, sarebbe stato indispensabile procedere a tracciare la linea di confine fra situazioni agevolabili e situazioni non agevolabili con ciò che Pascal chiamava, come tutti sappiamo, esprit de finesse.

Al contrario, chi legge l’art. 18 del d.l. n. 23 del 2020 ha immediatamente la sensazione che la questione sia stata burocraticamente affrontata con l’esprit de géométrie; anzi, con quello stesso spirito geometrico che (rimanendo alla metafora dei confini) ha animato la rettilinea definizione delle frontiere degli Stati africani nella Conferenza di Berlino del 1884.

Il ricorso a linee di demarcazione siffatte ha certamente il pregio della semplicità, ma può presentare il rischio di risultare (proprio come i confini africani) totalmente avulsa dalla realtà.

E questo rischio costituisce un vizio assai grave proprio in un caso come il nostro, dove la distinzione doveva essere fatta sì, ma in termini quanto più possibili aderenti alla realtà.

3. Alcuni esempi concreti

Il discorso fin qui condotto potrebbe essere esso stesso tacciato di astrattezza. È opportuno, quindi, scendere nel dettaglio con un esempio concreto.

Come si sa, i soggetti che possono beneficiare della sospensione dei versamenti sono distinti, in primo, luogo in due categorie: quelli che hanno conseguito ricavi inferiori a 50 milioni di euro e quelli che hanno superato questo limite nell’esercizio precedente: per i primi le condizioni di accesso alla sospensione sono meno rigorose che non per i secondi.

Fin qui, il criterio distintivo potrebbe risultare accettabile, perché il legislatore ha evidentemente presunto che i problemi di liquidità fossero maggiormente penalizzanti per i contribuenti aventi un fatturato inferiore a 50 milioni di euro rispetto ai contribuenti con un fatturato superiore. È un’illazione frutto di un giudizio opinabile, come tutti i giudizi, ma non del tutto arbitrario. E sappiamo che, dinanzi alle scelte legislative in materia di agevolazioni, la Corte costituzionale ritiene che il legislatore abbia ampia discrezionalità, salvo il limite dell’arbitrarietà. Le decisioni in cui la Corte ha affermato questo principio sono troppo numerose per meritare di essere citate.

All’interno di queste due categorie, poi, i contribuenti devono compiere un’ulteriore verifica consistente nel confrontare il fatturato del mese di marzo 2019 con quello del mese di marzo 2020 e il fatturato del mese di aprile 2019 con quello di aprile 2020. Se, per ciascuna coppia di mesi, si riscontra un decremento del fatturato del 33% (nel caso dei contribuenti “minori”) o del 50% (per i contribuenti di maggiori dimensioni) allora si opera la sospensione dei versamenti scadenti, rispettivamente, ad aprile 2020 e/o a maggio dello stesso anno.

In termini pratici, questo significa che – facendo riferimento al caso di un contribuente con un volume di ricavi inferiore a 50 milioni di euro – il soggetto passivo che avesse conseguito una riduzione del fatturato del 33% in entrambi in mesi di marzo e aprile 2020 rispetto ai corrispondenti mesi del 2019 è considerato meritevole dell’agevolazione in misura integrale (ossia per le scadenze sia di aprile che di maggio), mentre il contribuente che avesse conseguito una riduzione del fatturato del 50% nel mese di marzo e del 32,5% nel mese di aprile potrebbe beneficiare della sospensione solo per i versamenti scadenti ad aprile, ma non per quelli di maggio.

Eppure, il secondo contribuente ha avuto una riduzione complessiva del fatturato pari, in media, al 41,25%, mentre il primo “solo” al 33%. Quindi, non vi è nulla, nella realtà, che possa legittimare la “presunzione” (in senso atecnico) che il primo contribuente versi in una condizione di deficit di liquidità maggiore di quella del secondo e sia, come tale, maggiormente bisognoso dell’intervento di sospensione.

Il modo in cui opera il criterio distintivo, già solo per questo fatto, risulta irragionevole.

E tale assenza di ragionevolezza viene acuita se si pensa che, in realtà, la percentuale di decremento del fatturato, per come è misurata dalla legge, dipende da due fattori: essa (percentuale) è certamente l’effetto della contrazione di fatturato nel 2020, ma tale variazione, proprio perchè misurata in termini percentuali, è anche la conseguenza del livello di fatturato nel corrispondente mese del 2019. Chi avesse avuto, com’è altamente possibile, un fatturato particolarmente basso (per i più diversi motivi) nei mesi di marzo o di aprile 2019 avrà maggiori difficoltà a superare la percentuale costituente la soglia oltre la quale opera la sospensione dei termini di versamento. E ciò, ovviamente, senza che l’andamento del fatturato nel 2019 abbia alcun significato rispetto all’effettiva crisi di liquidità sussistente nel corso del 2020.

Si pensi, sempre per fare un esempio, alle imprese che avessero iniziato la propria attività nel 2019 o alla fine del 2018 (quindi, strutturalmente, con un basso fatturato) e che poi abbiano ampliato la propria attività, facendo investimenti in beni strumentali e assumendo nuovo personale, nel corso dei mesi seguenti. Queste imprese potrebbero anche avere nel 2020 un fatturato superiore a quello del 2019 e, tuttavia, subire pesantemente l’effetto della crisi di liquidità.

Invero, l’impatto della crisi odierna sulla liquidità è correlato al rapporto fra impegni finanziari assunti e in essere nel 2020 rispetto all’effettivo andamento dell’attività e delle risorse finanziarie dalla stessa generate nel corso del medesimo periodo.

Cosicché, determinare le conseguenze della crisi sulla liquidità facendo riferimento all’andamento dei soli ricavi di singoli mesi e in base al confronto di tale andamento fra i corrispondenti mesi dell’esercizio in corso e di quello precedente, appare un criterio privo di una adeguata correlazione rispetto al fenomeno che si vuole misurare.

In termini più strettamente giuridici, si può dire che, se la ratio delle soglie percentuali di cui abbiamo detto è quella di distinguere fra contribuenti incisi “significativamente” dalla crisi di liquidità e contribuenti per i quali la medesima crisi è meno rilevante, allora l’indice concretamente scelto è privo di una razionale correlazione con tale ratio.

4. Conseguenti dubbi di legittimità costituzionale

La conclusione di questo breve discorso – e il significato degli esempi addotti, che certamente non esauriscono il novero delle possibili distorsioni conseguenti all’adozione del criterio discretivo prescelto dal legislatore – è abbastanza evidente.

Se, come abbiamo detto, le scelte legislative, pur se discrezionali e giustamente condizionate dai vincoli di bilancio, sono sindacabili allorquando sconfinano , ci sembra nient’affatto remota la possibilità che, proprio in questo caso, i criteri adottati dall’art. 18 del d.l. n. 23 del 2020 si espongano per l’appunto a questo genere di censura.

Detto in termini diversi, se, come a noi pare, tali criteri sono inidonei a operare un’adeguata distinzione fra soggetti maggiormente incisi dalla crisi di liquidità e soggetti che lo sono in modo più attenuato, allora l’effetto della loro adozione è quello di trattare in modo differente soggetti che, in termini di liquidità, si trovano in una condizione non dissimile e, viceversa, di trattare in modo uguale soggetti che, sempre rispetto all’effettiva liquidità, si trovano in una condizione diversa.

Il che, ovviamente, implica una violazione dell’art. 3 Cost.

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