Guglielmo Fransoni

I CHIARIMENTI DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE SUGLI OBBLIGHI DEI COMMITTENTI PER LE RITENUTE DOVUTE DAGLI APPALTATORI E I DUBBI DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE


Commento a Circolare n. 1 del 12 febbraio 2020


1. Una circolare molto attesa, ma poco tranquillizzante

Tutti gli operatori erano in trepidante attesa dei chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate in merito al nuovo art. 17-bis del d.lgs. n. 241 del 1997 (di seguito, l’“art. 17-bis”) e tale trepidazione era pienamente giustificata da una norma la cui applicazione avrà una decorrenza del tutto derogatoria rispetto ai principi dello Statuto del Contribuente e che presenta numerosi profili di incertezza (a taluni dei quali si è fatto cenno in nostri precedenti interventi sull’argomento, cfr., Le clausole nei contratti di appalto …, e L’inapplicabilità ai contratti di somministrazione e distacco ….).

La circolare è arrivata il 12 febbraio con un anticipo certamente contenuto rispetto al termine iniziale di applicazione. Vero è che l’esperienza concreta ha da tempo abituato i contribuenti a non fare soverchio affidamento sulla tempestività dei chiarimenti dell’Agenzia, ma in questo caso la complessità della disciplina – che, come diremo, risulta accentuata, piuttosto che mitigata, dalle indicazioni contenute nella circolare – avrebbe certamente richiesto una maggiore solerzia che, verosimilmente, non vi è stata proprio a causa dell’elevato numero di problemi che la stessa Agenzia ha dovuto risolvere.

In ogni caso, da questo punto di vista, uno dei contenuti di maggior pregio della circolare è l’indicazione dell’inapplicabilità delle sanzioni previste a carico dei committenti fino ad aprile 2020.

Tuttavia, tale inapplicabilità è parziale e condizionata: essa opera, infatti, solo se l’appaltatore ha comunque versato le ritenute (ma nulla si dice circa il comportamento dei relativi subappaltatori) ancorché in modo indistinto e sempre che vi sia stata la trasmissione da questi al committente della documentazione (la cui utilità è, in realtà, assai limitata là dove le ritenute siano versate cumulativamente) richiesta dall’art. 17-bis, comma 2.

Probabilmente, l’Agenzia non poteva andare oltre nel disciplinare un periodo “transitorio” del quale ci sarebbe estrema necessità, ma di cui non vi è traccia nella disciplina positiva.

Al di là di questa indicazione, la circolare fornisce molti chiarimenti ed è di indubbia utilità.

Tuttavia, come avremo modo di rilevare, non tutti questi chiarimenti sono condivisibili e alcuni di essi si risolvono in un completamento del contenuto della legge che va oltre, a nostro sommesso avviso, quanto direttamente desumibile dal suo tenore (e non ci riferiamo, si badi bene, al mero tenore letterale).

Da questo punto di vista, ci sembra di poter dire, anticipando alcune considerazioni che saranno svolte nel prosieguo, che la circolare in commento evidenzia un grado d’incompletezza della disciplina recata dall’art. 17-bis tanto elevato da renderla fortemente sospetta di illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 23 Cost. (in considerazione del fatto che il predetto art. 17-bis disciplina certamente una prestazione personale imposta e, come tale, soggetta a una riserva di legge piuttosto stringente, ancorché relativa).

2. L’ambito soggettivo di applicazione

La circolare in esame dedica particolare attenzione alla definizione dell’ambito soggettivo di applicazione del regime.

Alcune delle indicazioni fornite in proposito sono certamente condivisibili. In particolare, l’Agenzia specifica che il condominio non rientra fra i soggetti che deve applicare la predetta disciplina.

Maggiori dubbi sorgono, invece, per quanto riguarda quelli che, nella circolare, sono definiti come “catene di soggetti”.

Al riguardo, la circolare ricostruisce la disciplina precisando che il requisito dell’importo contrattuale deve essere verificato nei confronti del primo soggetto della catena (il committente): se questo requisito è verificato, allora tutti gli altri soggetti della catena possono assumere, nei confronti dei soggetti che si trovano a un livello “inferiore”, il ruolo di committenti là dove, nei reciproci rapporti, sussistano gli altri requisiti (impiego prevalente di manodopera, svolgimento dell’attività lavorativa presso la sede del “committente”, utilizzo di beni strumentali del committente).

Questa interpretazione ha un duplice effetto.

A) Il primo è che, se il committente di “primo livello” affida il servizio o l’opera a un appaltatore per un importo superiore alla soglia e, poi, l’appaltatore affida in subappalto l’opera o il servizio (o porzioni della stessa) a un’altra impresa per un importo inferiore alla soglia, anche il sub-affidatario resta soggetto alla disciplina (e, quindi, ha nei confronti del committente di “primo livello” i medesimi obblighi cui soggiace il proprio committente “diretto”).

Questa conseguenza è, a nostro avviso, del tutto coerente con la formula e con la ratio dell’art. 17-bis il quale, per l’appunto, disciplina il caso in cui il committente affida l’esecuzione di un’opera o di un servizio «tramite contratti di appalto, subappalto, affidamento ecc.». Quindi, evidentemente, secondo tale disciplina il numero dei rapporti contrattuali per il cui “tramite” si realizza l’esecuzione dell’opera o del servizio è indifferente al fine di imputare gli obblighi di controllo al soggetto che commissiona l’una o l’altro.

B) Il secondo effetto dell’interpretazione prospettata dall’Agenzia è che i medesimi obblighi si estendono al committente di “secondo livello” (o di ennesimo livello) nei confronti del proprio sub-affidatario anche se l’opera o il servizio oggetto del rapporto che intercorre fra tali soggetti non supera la soglia di valore predetta. Addirittura, in questo caso, gli obblighi in questione potrebbero essere riferiti solo al committente di grado inferiore (e non al committente di “primo livello”) se gli ulteriori presupposti di applicazione della norma (prevalenza della manodopera, svolgimento della prestazione presso la sede, utilizzo di beni strumentali) ricorrono solo nei rapporti fra questi soggetti ovvero se il committente di “primo livello” fosse escluso (per carenza dei requisiti soggettivi) dall’ambito di applicazione della disciplina.

Da questo punto di vista, si deve rilevare che la conclusione cui giunge l’Agenzia non sembra trovare riscontro nell’art. 17-bis e determina un’estensione notevole degli obblighi di controllo.

In particolare, per effetto di questa interpretazione, l’appaltatore (quale committente di “secondo livello”) potrebbe essere tenuto ad applicare la nuova disciplina nei confronti dei propri subappaltatori anche qualora l’appaltante ne fosse escluso, vuoi perché esso non rientra fra i soggetti cui si applica la disciplina, vuoi perché le prestazioni dell’appaltatore e dei subappaltatori non si svolgono presso la sua sede o non implicano l’utilizzo di beni dell’appaltante medesimo.

Apparentemente, questa disposizione serve a evitare che gli obblighi previsti dall’art. 17-bis vengano elusi tramite il “frazionamento” dei contratti.

Ma si tratta di un’affermazione solo parzialmente vera.

In effetti, l’elusione dei predetti obblighi, per un verso, è evitata già dall’interpretazione – sulla quale, come abbiamo detto, ci sembra di dover concordare – secondo la quale il superamento della soglia di valore e la realizzazione degli altri presupposti di applicazione della norma (complessivamente considerati) devono essere verificati nei confronti del primo committente, a nulla valendo, invece, che i successivi subappalti abbiano, singolarmente considerati, valore inferiore. Per altro verso, il problema dell’aggiramento potrebbe porsi già a livello dei rapporti fra appaltante e (plurimi) appaltatori e tale interpretazione non appare in alcun caso idonea a contrastarlo.

La verità è che la soluzione interpretativa proposta dall’Agenzia non si limita affatto a contrastare il fenomeno dei frazionamenti dei contratti, ma realizza un’estensione degli obblighi (agli appaltatori o, più in generale, ai sub-committenti) là dove tali obblighi non risultino riferibili al committente principale per difetto dei relativi presupposti, ossia perché l’attività degli appaltatori e dei subappaltatori non si svolge presso la sua sede o con l’utilizzo di beni strumentali di questi.

Il che si risolve, a ogni effetto, in una modifica (in senso estensivo) dell’ambito applicativo della disciplina.

3. L’ambito oggettivo di applicazione

È indubbia, poi, l’utilità delle indicazioni della circolare relativamente ai presupposti oggettivi di applicazione dell’art. 17-bis.

Per esempio, appare certamente pregevole lo sforzo dell’Agenzia di operare una migliore definizione dei casi di esonero dall’applicazione (p.es. nelle ipotesi di consolidato) o quello rivolto a specificare come si debba calcolare la soglia di rilevanza dei rapporti contrattuali a seconda che essi abbiano un prezzo definito o meno e siano di durata ultrannuale.

Non si può omettere di rilevare che, in ogni caso, si tratta di indicazioni di buon senso, ma che evidenziano la lacunosità della disciplina e l’esigenza di un suo penetrante completamento.

Sicuramente da condividere è, poi, la precisazione secondo la quale gli obblighi di cui all’art. 17-bis non riguardano i contratti di somministrazione di manodopera (confermando, così, la conclusione cui eravamo già pervenuti: cfr. L’inapplicabilità ai contratti di somministrazione e distacco ….).

Assai meno persuasiva, almeno nella sua ambiguità, è invece la tesi secondo la quale la nuova disciplina si estende anche ai contratti di cessione di beni con posa in opera. Invero, tale soluzione potrebbe, con non pochi dubbi, essere condivisa se riferita ai casi in cui il valore in sé dell’attività di posa in opera raggiungesse il limite 200.000 euro. Viceversa, sembra difficile prestare adesione alla medesima soluzione ove essa dovesse intendersi nel senso che, ai fini della determinazione della soglia, occorra sommare il corrispettivo della cessione dei beni a quello della messa in opera.

Considerata, poi, l’attenzione che l’Agenzia ha posto sulla ratio complessiva della disposizione (e sull’esigenza di prevenire forme di elusione), ci si sarebbe attesi, invece, una maggiore attenzione al tema dell’utilizzo dei beni strumentali del committente. E ciò sotto un duplice profilo.

Per un primo verso, infatti, l’approccio a questo tema da parte dell’Agenzia sembra eccessivamente permissivo nel momento in cui essa ritiene che non costituisce utilizzo di beni del committente ogni caso di utilizzo di beni dei quali l’appaltatore dispone «a qualunque titolo giuridico». Al riguardo, infatti, crediamo che si debba prediligere un’interpretazione più restrittiva, nel senso di ritenere soddisfatta la condizione di applicazione dell’art. 17-bis in esame anche nei casi in cui la prestazione venga resa attraverso beni che l’appaltatore ha ottenuto in godimento dall’appaltante attraverso contratti di noleggio, locazione, comodato ecc.

Anzi, da questo punto di vista, riteniamo che, almeno in linea di principio, l’ipotesi in cui la prestazione dell’appaltatore sia resa presso locali di proprietà dell’appaltante e assunti in locazione dal primo integri, al tempo stesso, tanto la fattispecie dello svolgimento della prestazione presso una “sede” dell’appaltante, quanto quella della sua esecuzione con beni strumentali propri di quest’ultimo.

Viceversa, ci sembra che possa dare adito a inutili incertezze applicative l’affermazione secondo la quale «l’occasionale utilizzo di beni strumentali riconducibili al committente o l’utilizzo di beni strumentali del committente, non indispensabili per l’esecuzione dell’opera o del servizio, non comportano il ricorrere della condizione di applicabilità in esame».

Tale nozione è, infatti, imprecisa ed equivoca.

Innanzi tutto, è evidente che l’utilizzo di beni che non sono qualificanti per l’esecuzione del servizio non dovrebbe integrare mai il requisito contemplato dall’art. 17-bis e ciò anche quando non sia occasionale. Posto, infatti, che la prestazione deve essere resa, dalla manodopera propria dell’appaltatore, presso la sede del committente, è chiaramente inevitabile che tale manodopera utilizzerà comunque – e non in modo occasionale – taluni beni strumentali propri del committente (dalle sedie alle scrivanie, dall’aria condizionata ai distributori di bevande).

È palese, allora, che si deve aver riguardo all’utilizzo dei soli beni strumentali che risultino caratterizzanti ai fini dell’esecuzione dell’opera ed è proprio in tale ambito che dovrebbe farsi riferimento al carattere occasionale o meno di tale utilizzo.

A nostro avviso, il problema può essere risolto in base al contratto. L’utilizzo di beni del committente, infatti, – là dove non sia occasionale ed eventuale, bensì “sistematico” – formerà necessariamente oggetto di specifica previsione contrattuale (espressa o tacita) che autorizza l’utilizzo medesimo e lo valorizza ai fini della determinazione del corrispettivo (perché è evidente che, in tutti quei casi in cui il committente mette a disposizione dell’appaltatore i mezzi – qualificanti la prestazione – di ciò si terrà conto nella determinazione del prezzo).

Solo in questo caso, che presenta, tra l’altro, il pregio dell’oggettività, risulterà integrato il presupposto per l’applicazione della disciplina.

4. Gli obblighi dei committenti

Quanto agli obblighi derivanti dall’art. 17-bis – là dove si siano verificati i relativi presupposti ci sembra di poter dire che la circolare fornisce indicazioni intese, per quanto possibile, a mitigare il rigore delle prescrizioni normative.

Questo vale senz’altro per l’utile precisazione secondo la quale il divieto di compensazione delle ritenute con altri crediti non opera relativamente ai crediti che rivestono natura fisiologica per i sostituti d’imposta.

Analogo discorso deve farsi relativamente alla specificazione secondo cui la verifica di congruità delle ritenute operate e versate da parte degli appaltatori può ritenersi soddisfatta là dove tali ritenute siano almeno pari al 15% delle retribuzioni. Si tratta, con ogni evidenza, di un criterio forfetario che va oltre il dettato normativo, ma appare necessitato dall’impossibilità di addossare al committente una verifica più specifica.

La circolare precisa, poi, che, nel caso in cui l’inadempimento al versamento delle ritenute ricorra in capo al subappaltatore, il committente dovrà sospendere i pagamenti nei confronti dell’appaltatore e questi sarà, a sua volta, «legittimato a sospendere i pagamenti nei confronti dei subappaltatori finché questi ultimi non avranno correttamente adempiuto ai loro obblighi».

Anche in questo caso, ci troviamo dinanzi a una specificazione priva di qualsivoglia supporto normativo e di ciò deve essere ben conscia la stessa Agenzia.

Si deve ricordare, in primo luogo, che la sospensione dei pagamenti, per coloro che soggiacciono all’applicazione della disciplina di cui all’art. 17-bis, è un potere-dovere e non un mero potere.

Quindi, delle due l’una: o anche l’appaltatore è titolare del medesimo potere-dovere, oppure egli non ha il dovere, ma è anche privo del relativo potere.

Evidentemente, l’Agenzia ha dovuto prendere atto della circostanza che la sospensione dei pagamenti da parte del committente nei confronti dell’appaltatore per effetto dell’inadempimento del subappaltatore poneva quest’ultimo “fra l’incudine e il martello” e ha cercato di porvi rimedio “inventando” a favore dell’appaltatore una mera condizione legittimante (ossia un potere non accompagnato dal relativo dovere) che è priva di una base legislativa.

Invero, attualmente, l’unica forma di tutela per l’appaltatore (rispetto agli inadempimenti del subappaltatore) può avere solo fonte contrattuale (come si è rilevato in un precedente intervento, cfr. Le clausole nei contratti di appalto …).

5. Le sanzioni

Se, da un lato, la circolare si lascia apprezzare per il fatto di sottolineare che le sanzioni previste dall’art. 17-bis a carico del committente – essendo commisurate a quelle effettivamente dovute dall’appaltatore per l’illecito commesso – non sono applicate se l’appaltatore (o il subappaltatore) rimediano all’illecito mediante ravvedimento operoso, appare davvero incomprensibile, dall’altro lato, l’affermazione secondo cui «La sanzione prevista dal comma 4 dell’articolo 17-bis rientra tra quelle amministrative non tributarie, in quanto non strettamente correlata alla violazione di norme disciplinanti il rapporto fiscale».

A parte il fatto che tale affermazione appare contestabile sulla base degli inequivoci dati normativi, non si può non constatare che essa è in stridente contrasto con l’affermazione, posta in apertura della circolare, secondo cui «l’articolo 17-bis reca una serie di misure in materia di contrasto all’omesso o insufficiente versamento, anche mediante l’indebita compensazione, delle ritenute fiscali, prevedendo nuovi adempimenti, a carico di committenti, appaltatori, subappaltatori, affidatari e altri soggetti che abbiano rapporti negoziali comunque denominati».

Risulta, cioè, palesemente arduo rendere coerente l’affermazione secondo la quale gli obblighi di cui all’art. 17-bis costituiscono adempimenti disposti per il contrasto alla violazione di obblighi fiscali con quella per cui, invece, tali obblighi non sarebbero correlati a una disciplina strettamente fiscale.

Inutile dire che questa impostazione è destinata ad alimentare incertezze e controversie per quanto riguarda l’individuazione del giudice munito di giurisdizione e la disciplina applicativa delle sanzioni medesime.

6. I profili di illegittimità costituzionale

Al di là dei singoli punti di consenso o di dissenso rispetto alle soluzioni interpretative prospettate nella circolare, non si può negare che essa svolge un essenziale ruolo di completamento della disciplina.

Detto altrimenti, pur non risolvendo tutti i dubbi (e, probabilmente, risolvendone alcuni in modo non condivisibile), non è dubitabile che le indicazioni fornite dalla circolare fossero il minimo indispensabile per consentire agli operatori di applicare la nuova disciplina.

Anzi, secondo alcuni commenti apparsi sulla stampa specializzata, non sarebbe stato raggiunto neppure quel livello minimo.

In ogni caso, tale circostanza evidenzia che l’art. 17-bis non contiene una disciplina “sufficiente” degli obblighi dei committenti.

Se si muove da tale considerazione, è necessario allora prendere atto che l’art. 17-bis è fortemente sospetto di essere costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 23 Cost.

Invero, è pacifico che gli obblighi posti a carico dei committenti dall’art. 17-bis rappresentano una classica ipotesi di prestazione personale imposta.

Come tale, essa è soggetta alla riserva di legge di cui al citato art. 23 Cost.

Secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, sebbene la predetta riserva sia relativa, tuttavia:

  • nel caso delle prestazioni personali imposte la “relatività” della riserva risulta minore rispetto a quanto avviene per le prestazioni patrimoniali imposte (cfr., Corte Cost. sent. n. 115 del 2011);
  • comunque, gli ambiti della disciplina non “coperti” dalla legge non possono essere soddisfatti da un atto meramente interpretativo qual è una circolare (dovendo quanto meno risultare un espresso conferimento di “delega” ad altra autorità ai fini del completamento della disciplina).

Cosicché, senza poter approfondire maggiormente questo tema, vi sono molti elementi che inducono a dubitare della conformità della norma ai principi costituzionali.

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