Guglielmo Fransoni

IL DISTACCO DI PERSONALE È UNA PRESTAZIONE IMPONIBILE AI FINI DELL’IVA


Commento a CGUE, sentenza 11 marzo 2020, San Domenico Vetraria s.p.a, C-94/19


1. Una morte annunciata

Credo di non andare molto lontano dal vero affermando che la sentenza depositata in data odierna dalla Corte di Giustizia non avrà destato particolare sorpresa fra gli addetti ai lavori.

Il fatto che si trattasse di un esito scontato sembra testimoniato, fra l’altro, dalla circostanza che il Governo italiano non ha ritenuto nemmeno opportuno cercare di difendere la norma sospettata di essere incompatibile con la Direttiva 2006/112/CE presentando le proprie osservazioni nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte di Giustizia.

Nondimeno si tratta di una sentenza importante sia per il principio in essa affermato, sia per le conseguenze che determina.

Sia pure con tutti i limiti di un commento “a caldo”, mi sembra quindi opportuno svolgere qualche rapida osservazione su entrambi i profili.

2. La nozione di onerosità

La sentenza, innanzi tutto, è importante perché chiarisce una volta di più il fatto che l’espressione “[prestazioni] a titolo oneroso” non è in alcun modo un sinonimo di “corrispettività”.

L’onerosità, dal punto di vista concettuale, individua un assetto negoziale distinto e più ampio della corrispettività.

Si potrà dire che questa conclusione è ovvia, visto che fra le operazioni espressamente qualificate come imponibili dagli artt. 2 e 3 del d.P.R. n. 633 del 1972 ve ne sono alcune che sono a titolo oneroso, ma non sono corrispettive: si pensi, per fare solo due esempi, ai conferimenti e alla mediazione.

Peraltro, dal punto di vista della disciplina unionale, la medesima conclusione è confermata dalle diverse versioni linguistiche: la versione inglese della direttiva fa riferimento alle prestazioni rese for a consideration, quella francese, impiega la formula à titre onéreux, quella tedesca, utilizza l’espressione gegen Entgelt. Si tratta, in tutti i casi e specialmente per ciò che attiene alla nozione di consideration, di formule che richiamano nozioni ben diverse (e più ampie) di quella di corrispettività.

A ciò si deve aggiungere, poi, la giurisprudenza della Corte di Giustizia: oltre ai precedenti citati dalla stessa sentenza in commento, si deve ricordare la sentenza 17.9.2002, Town & Country Factors Ltd, C-498/99, che ha ritenuto imponibile un assetto in cui la prestazione pecuniaria a carico di una delle parti era «binding in honour only» e, come tale, era quanto di più lontano si possa immaginare dalla corrispettività.

Sebbene, quindi, gli argomenti per concludere che, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, assumono rilevanza anche assetti onerosi, ma non corrispettivi siano molteplici e decisivi, l’ulteriore riaffermazione di tale concetto non appare affatto superflua se si considera che anche di recente la Corte di Cassazione ha escluso l’imponibilità delle prestazioni dei Centri Media sul presupposto che, nella definizione di operazioni imponibili, «risalta, dunque, la forza qualificante della corrispettività e non della mera onerosità» (cfr., Cass. civ., sez. V, sent. 9.6.2017, n. 14407).

Le precisazioni contenute nella sentenza in commento costituiscono, quindi, un utile contributo al superamento di alcune “vischiosità” che sono tuttora presenti nella cultura degli operatori del diritto nazionali.

E, in questa prospettiva, appare allora evidente l’ulteriore conseguenza, esplicitamente ribadita dalla Corte, secondo la quale l’attrazione di un’operazione nel capo di applicazione dell’imposta non dipende dall’entità della controprestazione, ossia dal suo essere «pari, superiore o inferiore ai costi che il soggetto passivo ha sostenuto a suo carico nell’ambito della fornitura della sua prestazione» (cfr., punto 29).

3. Le conseguenze pratiche della sentenza

Oltre che per i principi in essa affermati, la sentenza in esame assume certamente importanza sotto il profilo operativo.

Da un primo punto di vista, è praticamente rilevante il suo ambito oggettivo di applicazione.

Ovviamente, essa determina l’inclusione nel campo di applicazione dell’imposta delle operazioni di distacco del personale, ossia delle operazioni che formavano oggetto del caso specificamente esaminato dalla Corte di Giustizia.

Ma il principio in essa affermato ha, altrettanto ovviamente, una portata espansiva. Un possibile esempio è quello dell’art. 26-bis della l. 24.6.1997, n. 196 (applicabile alle somministrazioni di manodopera disciplinate dalla c.d. legge “Biagi”) secondo cui «I rimborsi degli oneri retributivi e previdenziali che il soggetto utilizzatore di prestatori di lavoro temporaneo è tenuto a corrispondere ai sensi dell’articolo 1, comma 5, lettera f), all’impresa fornitrice degli stessi, da quest’ultima effettivamente sostenuti in favore del prestatore di lavoro temporaneo, devono intendersi non compresi nella base imponibile dell’IVA di cui all’articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633».

Vi è, poi, un ulteriore – e certamente più importante – aspetto pratico che è costituito dell’efficacia della sentenza nel nostro ordinamento.

Si tratta di stabilire se, nei rapporti fra fisco e contribuenti, la sua applicazione richieda la previa abrogazione della norma che dispone l’esclusione delle operazioni di distacco (salva l’eventuale responsabilità dello Stato italiano per aver mantenuto in vigore una disciplina non compatibile con quella unionale); oppure se la direttiva, così come interpretata dalla Corte di Giustizia, possa essere applicata indipendentemente dalla eliminazione della norma interna (che risulterebbe quindi non applicabile per contrasto con la Direttiva 2006/112/CE).

In linea teorica, questo quesito ha una risposta del tutto tranquillizzante per i contribuenti.

Infatti, la cosiddetta efficacia diretta delle direttive dell’Unione Europea opera, pacificamente, solo in senso verticale, ossia solo là dove sia il cittadino che pretenda, nei confronti dello Stato (inadempiente), l’applicazione di un regime di maggior favore riconosciutogli dall’ordinamento dell’Unione. Viceversa, la predetta efficacia diretta non opera né nei rapporti orizzontali, né nei rapporti verticali “invertiti” (cioè nelle ipotesi in cui sia lo Stato a voler applicare la disciplina unionale disapplicando quella interna che sia incompatibile con la prima).

Come si è detto, si tratta di un dato, teoricamente, pacifico e ribadito, proprio in materia fiscale, dalla sentenza 21 settembre 2017, DNB Banka, C-326/15 che ha sottolineato come «una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un privato e non può, quindi, essere fatta valere in quanto tale nei suoi confronti […]. Le autorità nazionali non possono quindi invocare [una norma della Direttiva 2006/112/CE] quale interpretata della presente sentenza, per negare tale esenzione [ai contribuenti]» (punto 41).

Se questo è vero in linea teorica, non si deve sottovalutare, tuttavia, la circostanza che l’applicazione di tali principi nel nostro ordinamento non è del tutto uniforme.

Basta citare, per limitarci al precedente più prossimo dal punto di vista cronologico, il caso dell’esenzione delle prestazioni rese dalle scuole guida: a seguito della sentenza 14 marzo 2019, A & G Fahrschul-Akademie GmbH, C‑449/17 che ha limitato l’esenzione prevista dall’art. 132, paragrafo 1, lettere i) e j), della direttiva 2006/112/CE alle sole “prestazioni scolastiche e universitarie”, l’Agenzia, con la ris. 79 del 2019, ha preteso di disapplicare la disposizione recata dall’art. 10, comma 1, n. 20) del d.P.R. n. 633 del 1972 che riconosce(va) invece l’esenzione alle prestazioni “didattiche di ogni genere”. E ciò per tutti i periodi d’imposta ancora accertabili (quindi, con efficacia ex tunc).

Vi è, peraltro, un ulteriore elemento d’incertezza determinato formula stessa dell’art. 8, comma 35, della l. 11 marzo 1988, n. 67 (cioè la disposizione che stabilisce l’esclusione dal campo di applicazione dell’imposta delle prestazioni di distacco).

Com’è noto, la predetta disposizione è formulata alla stregua di una “norma interpretativa”: essa prevede, infatti, che «i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo» «Non sono da intendere rilevanti» ai fini dell’imposta sul valore aggiunto.

Ora, si deve ricordare che le direttive, come interpretate dalla Corte di Giustizia, presentano, accanto all’efficacia diretta della quale si è detto, anche un’efficacia indiretta consistente nell’obbligo di interpretare le norme di diritto interno in modo conforme a quanto previsto dal diritto dell’Unione. Tale obbligo di interpretazione conforme non presenta limiti di tipo “verticale” o “orizzontale”: esso opera sempre e in ogni caso.

Si potrebbe quindi ipotizzare che il sistema delineato dal d.P.R. n. 633 del 1972 possa considerarsi oggetto di due regole aventi entrambe efficacia “interpretativa” concorrente: quella recata dal predetto art. 8, comma 35, della l. 11 marzo 1988, n. 67 e quella contenuta nella Direttiva 2006/112/CE. Cosicché, nel concorso fra queste due regole aventi comune efficacia interpretativa, ma di segno opposto, occorrerebbe stabilire quale sia prevalente. E, in questo caso, la soluzione non potrebbe che essere quella di accordare il primato alla regola unionale.

Da questi rilievi emerge, insomma, la necessità di assumere un atteggiamento estremamente cauto e, quindi, di fare affidamento con molta circospezione sulla soluzione che sembrerebbe teoricamente insuperabile.

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