Guglielmo Fransoni

Il rinvio pregiudiziale in cassazione e l’esigenza di presupposti più rigorosi

1. Il nuovo istituto

Tanto la Commissione “Luiso”, quanto la Commissione “Della Cananea” – istituite per la riforma del processo civile, la prima, e di quello tributario, la seconda – hanno inserito nel catalogo delle proposte di modifica delle rispettive discipline la previsione di un istituto del tutto innovativo che, secondo la proposta della Commissione “Luiso”, dovrebbe essere contenuto in un novello articolo 362-bis del codice di procedura civile rubricato “Rinvio pregiudiziale”.

È abbastanza evidente che la proposta della Commissione “Luiso” è assorbente rispetto a quella della Commissione “Della Cananea”. La nuova disposizione, infatti, non parrebbe presentare elementi di incompatibilità con il processo tributario e, come tale, essa dovrebbe considerarsi applicabile anche al processo tributario in ragione del generale rinvio al codice di rito operato dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992.

Poiché, peraltro, la riforma del processo civile è senz’altro in una fase molto più avanzata, in quanto il relativo disegno di legge, dopo essere stato approvato dal Senato, è, dal 20 ottobre 2021, in fase di esame presso la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, è sufficiente (e, a nostro avviso, necessario) prendere in esame le disposizioni contenute nel citato disegno di legge delega contraddistinto dal numero A.C. 3289.

In particolare, l’art. 1, comma 9, lett. f) del disegno di legge delega prevede che i giudici di merito abbiano la facoltà, quando devono decidere una questione di diritto sulla quale hanno preventivamente provocato il contraddittorio tra le parti, di sottoporre direttamente la questione alla Corte di cassazione per la sua risoluzione. Tale facoltà è subordinata al rispetto di tre presupposti, consistenti in ciò, che la questione: (1) sia esclusivamente di diritto, non ancora affrontata dalla Corte di cassazione e di particolare importanza; (2) presenti gravi difficoltà interpretative; (3) sia suscettibile di porsi in numerose controversie.

Sull’utilità di questo istituto si potrebbero svolgere, in un’ottica generale, diverse considerazioni.

Poiché, peraltro, la scelta del legislatore sembra essersi comunque orientata in senso favorevole alla sua introduzione, ci sembra opportuno limitare le nostre osservazioni a un solo punto, che riguarda un profilo rispetto al quale forse vi è ancora tempo e modo per una correzione di rotta che non modificherebbe la fisionomia dell’istituto ma piuttosto, come diremo, ci sembra essere, al tempo stesso, necessaria e del tutto coerente con la sua struttura e la sua funzione.

In particolare, si tratta di soffermarsi sulla terza e ultima delle condizioni al cui ricorrere è subordinata la facoltà di disporre il rinvio pregiudiziale.

2. Le numerose controversie fra “potenzialità” e “attualità”.

La formula con la quale si indica il richiamato terzo presupposto è, certamente e al pari di quelle relative ai primi due, caratterizzata da un elevato grado di vaghezza.

Non sarà facile – e legittimerà non pochi dibattiti – stabilire quando le controversie risultano “numerose”, così come non sarà semplice individuare in concreto quando una questione ha particolare importanza o presenta gravi difficoltà interpretative.

Basti pensare che, in primo luogo, occorrerà stabilire in rapporto a quale “popolazione” – per usare un termine statistico – devono essere commisurate le controversie relative a una determinata questione per potersi definire “numerose” (a tutte le cause pendenti? alle cause pendenti dinanzi ai giudici tributari? alle cause pendenti relative a una determinata imposta? ecc.). In secondo luogo, anche una volta risolto il primo problema, resterà da stabilire qual è il livello di frequenza superato il quale le controversie relative a una medesima questione possono definirsi “numerose”.

Come si diceva, il riferimento alla numerosità, all’importanza e alla gravità (le tre qualificazioni che ricorrono negli enunciati descrittivi dei tre presupposti) determina una triplice di “vaghezza” normativa. Si tratta, per essere precisi, di ciò che si definisce “vaghezza di grado” che caratterizza il noto paradosso del “calvo” (o del falacro) secondo il quale, poiché è chiaro che togliendo un capello a una capigliatura non si ha un “calvo” e che questo può avvenire un numero indeterminato di volte, della “calvizie” è definibile con precisione solo il “grado” estremo di totale assenza di capelli, ma non è individuabile il suo grado iniziale. La vaghezza di grado caratterizza molte norme e non è un male in sé, perché consente una sufficiente elasticità alla disciplina (cfr. C. Luzzati, La vaghezza delle norme, Milano 1990). Cosicché, spetterà inevitabilmente alla giurisprudenza pervenire a soluzioni accettabili ed equilibrate.

Il dato che volevamo segnalare, piuttosto, è che il presupposto della “numerosità” non riguarda le controversie attualmente esistenti in un determinato momento, ma le controversie potenziali. Secondo la norma, infatti, la questione deve essere “suscettibile” di porsi in numerose controversie.

Ebbene, questa condizione di “potenzialità” distingue nettamente l’istituto in esame dal suo modello.

Occorre ricordare, infatti, che, come è espressamente indicato dalla relazione conclusiva dei lavori della Commissione “Luiso”, il rinvio pregiudiziale è stato concepito «sulla scorta, peraltro, di felici esperienze straniere (e segnatamente dell’ordinamento francese che conosce la saisine pour avis)».

Ora, nell’ambito dell’ordinamento francese, fra i presupposti della saisine pour avis vi è, certamente, quello della numerosità delle controversie, ma questo presupposto risulta integrato solo là dove la questione «se posant dans de nombreux litiges».

Quindi, deve trattarsi di una numerosità attuale e non potenziale.

E questa circostanza ha un assai profondo valore rispetto alla funzione, al modo di connotarsi e all’applicazione concreta dell’istituto.

Fin dai primi commentatori della disciplina introdotta nell’ordinamento giudiziario francese nel 1991 si è rilevato, infatti, che la numerosità delle controversie effettivamente pendenti (e non solo suscettibili di sorgere) in relazione a una determinata questione di diritto svolge una precisa funzione nell’economia della disciplina.

Si è detto, in particolare, che «l’importance du nombre des litiges permet à la Cour de cassation de faire mûrir sa décision en exerçant sa prudence à partir non seulement des débats des parties à la saisine, mais aussi de ceux qui se développent devant les autres juridictions. Le danger qui menace la saisine pour avis est que les juges suprêmes se prononcent avec une réflexion insuffisante et soient amenés à se déjuger ultérieurement lorsque la controverse jurisprudentielle atteint sa maturité. Le remède serait alors pire que le mal». [F. Zenati, La saisine pour avis de la Cour de cassation, in Recueil Dalloz, 1992, 247].

In altri termini, la disciplina che il nostro legislatore intende riproporre nell’ordinamento nazionale si fonda, nel contesto originario, sul presupposto che l’individuazione dell’interpretazione corretta non può prescindere dalla consapevolezza del dibattito giurisprudenziale che si è in concreto svolto in relazione alla questione medesima.

Solo per effetto dell’esistenza di un ampio dibattito la questione diventa “matura” per essere decisa e risolta dalla Cassazione francese.

Secondo il modello originario, diversamente da quello che sarà adottato in Italia, un rinvio pregiudiziale disposto prima che la controversia si ponga attualmente in un numero elevato di casi costituirebbe un “rimedio peggiore del male”.

3. Interpretazione e applicazione

Sarebbe quindi altamente auspicabile che la disposizione relativa al terzo presupposto per il rinvio pregiudiziale venisse modificata per adeguarla al modello francese.

Invero, la logica sottesa a quel modello – come delineata della dottrina prima richiamata – corrisponde alle più consapevoli nozioni di “interpretazione”.

Affermava uno degli indiscussi Maestri del diritto italiano, Tullio Ascarelli, che «l’interpretazione non costituisce e non può costituire una semplice attività conoscitiva di dati precostituiti, ma un’attività conoscitiva e pratica insieme, perché volta a ordinare un corpus iuris precostituito ai fini della sua applicazione a casi sempre nuovi e diversi; un’arte in sostanza per l’applicazione e, attraverso l’applicazione, il rinnovamento di un corpus iuris precostituito».

Questa concezione evidenzia l’indissolubile unità dell’interpretazione e dell’applicazione del diritto, nel senso che interpretazione decisiva è quella che si realizza nel momento applicativo.

Se si muove da questo dato di partenza, ci si avvede facilmente dei rischi insiti in un rinvio pregiudiziale “sganciato” da una pregressa e attuale esperienza giurisprudenziale.

In generale, la riforma non lascerà inalterata la funzione nomofilattica della Corte.

Fino ad oggi tale funzione è stata svolta in stretto collegamento con un giudizio specifico, collocandosi a valle di una determinata controversia decisa, in sede di legittimità, dopo che la questione (anche quella di diritto) era stata esaminata, dibattuta in contraddittorio da entrambe le parti nell’ambito di due gradi di giudizio e risolta da due giudici diversi.

Quindi, la necessità di correggere la soluzione in diritto fornita dal giudice di merito veniva vagliata in base alle specificità del caso concreto, alla luce del precedente confronto di opinioni delle parti e delle statuizioni dei due giudici di merito.

La sentenza emessa a seguito del rinvio pregiudiziale conterrà, invece, un’affermazione “in astratto” sganciata, almeno in linea di principio, dalle particolarità del caso.

Quindi, la pronuncia emessa a seguito di rinvio pregiudiziale sarà o tenderà ad essere una pronuncia “in astratto” e, poiché essa è pensata proprio per essere determinante nelle “numerose” controversie imponendo il proprio valore di “precedente”, essa avrà un’efficacia inevitabilmente “generale”. Munita di generalità ed astrattezza, la giurisprudenza della Corte renderà sempre più concreta l’irruzione del diritto giurisprudenziale fra le fonti del diritto.

Non vogliamo dissentire rispetto a questa realtà che, d’altra parte, si è già verificata in larga misura e che può risultare ineluttabile.

Ma è necessario aver presente che un simile ufficio non può essere svolto adeguatamente se non si conosce approfonditamente la casistica in ordine alla quale la pronuncia resa in sede pregiudiziale dispiegherà i suoi effetti.

Stabilire qual è la portata della norma quando manca un dibattito giurisprudenziale, significa rendere decisioni “alla cieca”, se non arbitrariamente.

Solo la considerazione complessiva delle interpretazioni della norma fornite nelle diverse controversie e rispetto alle specifiche circostanze di fatto può conferire necessaria ponderatezza alla decisione della Corte.

Non solo, ma un simile modo di procedere è anche l’unico idoneo a conferire all’interpretazione così fissata un’adeguata stabilità. Altrimenti sarà inevitabile che una pronuncia resa anticipatamente, quando le controversie erano solo suscettibili di diventare numerose, ma non lo erano già, risulterà inadeguata in tutto o in parte e, in quanto tale, renderà necessario un revirement.

Ed è inutile dire quanto deleteria – e violativa del valore dell’eguaglianza – risulterà ogni successiva modifica o correzione di un orientamento giurisprudenziale fissato in sede di rinvio pregiudiziale.

4. L’attualità della numerosità delle controversie e gli altri presupposti del rinvio pregiudiziale

La modifica che qui si auspica – consistente nel subordinare il rinvio pregiudiziale all’esistenza, in concreto e non solo in potenza, di “numerose controversie” determinate dalla medesima questione – produce anche benefìci evidenti al fine di ridurre la “vaghezza” degli altri presupposti.

È chiaro, infatti, che la numerosità delle controversie originate da una determinata questione potrebbe essere proprio il dato empirico alla cui stregua valutare sia “l’importanza della questione” che costituisce il primo dei presupposti del rinvio pregiudiziale, sia la sussistenza delle “gravi difficoltà interpretative” integranti il secondo presupposto.

Nella motivazione del rinvio da parte del giudice di merito e nella valutazione della sua ammissibilità da parte della Cassazione vi dovrà essere l’indicazione degli elementi su cui si fonda l’affermazione dell’importanza della questione e della sussistenza di gravi difficoltà interpretative.

Ci si deve allora chiedere se è opportuno che siffatta giustificazione sia affidata a motivi meramente “speculativi” – com’è inevitabile che sia ove manchi o possa mancare una sufficiente esperienza giurisprudenziale – ovvero se non sia maggiormente desiderabile che essa (giustificazione) si avvalga di un riscontro con l’esperienza concreta.

Ovviamente, dal nostro punto di vista, è la seconda soluzione che si lascia largamente preferire, fermo restando che questo riferimento al dato empirico circoscrive soltanto, senza escluderla affatto, la “vaghezza” dell’enunciato e, così, quella elasticità applicativa che costituisce certamente il pregio delle clausole “vaghe”.

5. E perché non l’amicus curiae?

Come abbiamo detto, il legislatore italiano si è ispirato molto da vicino alla saisine pour avis vigente nell’ordinamento francese.

Tuttavia, la disciplina assunta (parzialmente, come si è visto) a modello è quella del 1991.

Peraltro, con la legge n. 2016-1547 del 18 novembre 2016, l’istituto (nell’ambito di una profonda riforma del giudizio di cassazione) è stato modificato prevedendo la possibilità di ammettere soggetti qualificati a produrre “osservazioni” (cfr. art. 431-3-1 del Code de l’organisation judiciaire).

Considerando, da un lato, quanto si è detto in precedenza sul valore vincolante – di diritto nel giudizio a quo e, inevitabilmente, di fatto negli altri giudizi – della pronuncia e, dall’altro lato, il carattere eccezionale che, comunque, il rinvio dovrebbe rivestire, ci si deve chiedere se non possa essere opportuno introdurre, sia pure con gli adeguamenti e le cautele necessari, la figura dell’amicus curiae nell’ambito del giudizio derivante dal rinvio pregiudiziale.

E ciò sia per un miglior adeguamento al modello di origine, sia per tener conto di una linea di tendenza che certamente riguarda, in primo luogo, le corti costituzionali, ma, come insegna l’esperienza francese, acquista significato in ogni contesto in cui la pronuncia dell’organo giudiziale sia esplicitamente orientata a costituire un precedente vincolante (di diritto o in fatto).

Una scelta che risulterebbe del tutto congrua rispetto all’esigenza di adottare la decisione sulla base di un panorama quanto più possibile completo degli elementi che innervano le “gravi difficoltà interpretative”, ma anche perfettamente coerente con la funzione “deflattiva” del contenzioso per l’indubbio rafforzamento del valore di precedente proprio di una decisione assunta in tale contesto.

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