Commento a Corte di Giustizia UE, sentenza 2 luglio 2020, BlackRock Investment Management, C-231/19
1. La molteplicità dei principi affermati nella sentenza BlackRock
La recentissima sentenza in commento offre molti spunti di riflessione.
Per esempio, andrebbe approfondito il significato effettivo dell’affermazione secondo la quale «il principio di neutralità fiscale è una regola d’interpretazione della direttiva IVA e non una norma di rango superiore alle disposizioni della medesima» (punto 51): è evidente, infatti, che non siamo difronte a una mera regola sull’interpretazione delle norme (come potrebbe essere il divieto di applicazione analogica o della derogatorietà della norma speciale ecc.), ma di un principio di carattere sostanziale che si riflette sul processo interpretativo per la sua “eccedenza assiologica”; cosicché è difficile comprendere in cosa consisterebbe la sua equiordinazione a tutte le altre regole dell’imposta.
Altrettanto interessante (e meritevole della massima cautela) è l’alquanto ambiguo accenno fatto dall’Avvocato Generale (cfr. punto 39 delle sue conclusioni) all’opportunità di «ritornare sulla questione se, nel mondo moderno, in cui un numero sempre maggiore di servizi viene fornito attraverso strumenti digitali, si debbano precisare i criteri giurisprudenziali relativi alle prestazioni di servizi di gestione da parte di terzi, qualora tali servizi siano forniti tramite una piattaforma elettronica».
In questa sede, ci sembra tuttavia necessario concentrare l’attenzione solo sul criterio adoperato dalla Corte di Giustizia per definire quando più prestazioni (potenzialmente autonome) possano costituire una prestazione unica (da assoggettare quindi a imposta come tale).
E ciò perché, a nostro avviso, sembrerebbe dato intravedere nella sentenza alcuni, rilevanti, elementi di novità.
2. Una precisazione preliminare
Il caso esaminato dalla Corte di Giustizia era certamente complesso e, al tempo stesso, nella analisi risultante dalla sentenza e dalle conclusioni dell’Avvocato Generale emergono delle incertezze di inquadramento che rendono non del tutto agevole individuare i principi realmente ricavabili da questo arresto giurisprudenziale.
È opportuno, quindi, cercare di fare chiarezza.
Da questo punto di vista, si deve evidenziare che il problema dell’unicità (o meno) della prestazione si presentava, nel caso di specie, in un duplice senso che, ai soli fini descrittivi, potremmo indicare come “verticale” e “orizzontale”.
La piattaforma Alladin, infatti, rendeva innanzi tutto, prestazioni consistenti (i) nell’analisi di mercato, nei monitoraggi di prestazioni e di valutazione dei rischi a supporto dei gestori di portafoglio nell’adozione di decisioni d’investimento; (ii) nel controllo del rispetto della normativa; (iii) nell’attuazione delle decisioni relative alle operazioni. L’insieme (inteso, per così dire, “verticalmente”) di queste prestazioni costituiva – e su questo punto non vi è contestazione – una prestazione di “gestione di fondi”.
Inoltre, la piattaforma Alladin rendeva (da un punto di vista “orizzontale”) tale prestazione di gestione a una pluralità di fondi: sia fondi comuni di investimento, sia fondi di altra natura.
Sebbene, come abbiamo detto, tanto le conclusioni dell’Avvocato Generale, quanto la motivazione della sentenza in commento utilizzino espressioni che sembrano talvolta indicare che l’attenzione si sia concentrata sull’unicità della prestazione in senso verticale, il vero (e unico problema) era se le più prestazioni di gestione (ciascuna di esse pacificamente considerata, da un punto di vista “verticale”, come unitaria) dovessero anche essere “unificate” dal punto di vista “orizzontale”.
In altri termini, la vera questione era se vi fossero tante distinte prestazioni di gestione quanti erano i fondi gestiti, ovvero un’unica complessiva prestazione di gestione di fondi.
3. L’insufficienza della precedente giurisprudenza della Corte a risolvere la questione
Individuata, così, la questione, occorre dire che la giurisprudenza, peraltro non scarsa, della Corte di Giustizia non appare, allo stato, del tutto sufficiente a risolverla.
Come si sa – e come viene ripetuto anche nella sentenza in commento – la Corte ritiene che più prestazioni – astrattamente fruibili autonomamente – possono risultare di fatto unificate in due modi diversi.
La prima forma di unificazione si ha quando fra le più prestazioni vi sia un rapporto “principale-accessorio” il quale sussiste allorché una prestazione (quella che verrà, quindi, qualificata come accessoria) non costituisce «un fine a sé stante, bensì il mezzo per fruire nelle migliori condizioni del servizio principale offerto dal prestatore» (cfr., p.es., sent. 19 luglio 2012, Deutsche Bank, C-44/11, punto 16).
La seconda ipotesi di “prestazione unica” si ha quanto le più prestazioni «sono a tal punto strettamente connesse da formare, oggettivamente, una sola prestazione economica indissociabile la cui scomposizione avrebbe carattere artificiale» (cfr., sent. 27 ottobre 2005, Levob Verzekeringen e OV Bank, C‑41/04, punto 22).
Tale distinzione è certamente corretta, ma è, evidentemente, ancora incompleta. E ciò dipende dal fatto che non è precisato quale sia l’elemento che, nella seconda ipotesi, determina la “stretta connessione”.
Un esempio – per quanto, forse, banale –potrà aiutare a capire meglio il problema.
Si supponga che, ai fini i.v.a., il trasporto di mele sia imponibile, mentre il trasporto di pere sia esente.
Ora, in questo caso, se un medesimo soggetto commissiona sia il trasporto di mele, sia il trasporto di pere, quando potremo dire che la prestazioni di trasporto è unitaria: quando vi è un unico contratto di trasporto?, quando vi è la pattuizione di un prezzo forfetario per il trasporto delle mele e delle pere?, quando il trasporto venga effettuato congiuntamente?.
Nella massima citata si fa riferimento a un criterio “oggettivo”, ma, a ben vedere, tutti i criteri prima indicati (unicità del corrispettivo, unicità del contratto, unicità del mezzo di trasporto) presentano, sia pure in modo diverso, i caratteri dell’oggettività.
Al fine di procedere per gradi, abbiamo (consapevolmente) omesso di precisare che il principio enunciato dalla Corte di Giustizia è completato dall’affermazione secondo cui l’accertamento dell’unicità deve aver riguardo alla posizione del consumatore «considerato come consumatore medio» (cfr., sent., 2 dicembre 2010, Everything Everywhere, C‑276/09, punto 26).
Qui si registra, un parziale mutamento del punto di vista, nel senso che l’inscindibilità non viene più apprezzata sotto il profilo meramente “materiale” (ossia esclusivamente dipendente delle modalità con cui è resa, oppure pattuita, ovvero remunerata la prestazione), ma dal punto di vista del committente. Cosicché, questo approccio diventa in parte “soggettivo” e non puramente “oggettivo”. Invero, l’“oggettività” è recuperata, se così si può dire, sul piano dell’apprezzamento generale del mercato (cioè sul piano dell’id quod plerumque accidit) o, se si vuole, della “tipizzazione” del “consumatore”.
Ma anche questo criterio non risulta del tutto sufficiente là dove non è dato individuare una prassi di mercato; come avviene, per l’appunto, nel caso di servizi altamente specializzati quali sono quelli di gestione dei fondi. Come si può fare, in un caso del genere, a stabilire se “il consumatore medio” acquisterebbe sempre in modo inscindibile le prestazioni di gestione dei fondi sia per quelli qualificabili come fondi comuni di investimento, sia per quelli che non rispondono a tale qualifica?
L’esigenza di specificare e chiarire il criterio in base al quale determinare l’esistenza di una connessione è stata chiaramente avvertita dalla Corte. Per esempio, nella sentenza 21 febbraio 2013, Žamberk, C-18/12 la Corte, dopo aver sottolineato l’esigenza – invero, alquanto generica, se non tautologica – di dover accertare l’esistenza del carattere unitario «tenendo conto, nel contesto di una valutazione di insieme, dell’importanza qualitativa e non semplicemente quantitativa degli elementi» dell’operazione, ha ritenuto che «l’unic[ità] del biglietto d’ingresso proposto per il parco acquatico [ossia il fatto che esso] dà accesso a tutte le installazioni, a prescindere dal tipo di installazione effettivamente utilizzata, dalle modalità e dalla durata del suo utilizzo durante il periodo di validità del biglietto medesimo, […] costituisce un indizio importante dell’esistenza di un’unica prestazione indissociabile».
Tuttavia, anche in questo caso, non si va oltre la proposizione di criteri “indiziari”, senza pervenire all’elaborazione di autonomi criteri logici di individuazione del nesso che, eventualmente, rende inscindibili le plurime prestazioni.
4. Il passo in avanti della sentenza BlackRock
A fronte di questa insufficienza di fondo, la sentenza BlackRock si segnala perché offre un contributo ulteriore che potrebbe consentire di individuare un criterio unificatore effettivamente autosufficiente.
Al punto 24 si afferma, infatti, che «il valore della prestazione di servizi di cui trattasi nel procedimento principale risiede, dal punto di vista dei suoi beneficiari, nell’utilizzazione combinata delle diverse funzionalità della piattaforma informatica Aladdin, cosicché tale prestazione di servizi sembra dover essere considerata, nonostante la pluralità degli elementi e degli atti forniti a detti beneficiari, come una prestazione economica inscindibile».
Sembrerebbe di dover desumere da questa affermazione che, pertanto, il momento unificante è costituito dal “punto di vista dei beneficiari” della prestazione. In termini più specificamente giuridici, si potrebbe dire, cioè, che ciò che conta è l’interesse che le prestazioni tendono a soddisfare. Se l’interesse è unitario, allora anche le plurime prestazioni devono apprezzarsi unitariamente.
Vero è che la medesima sentenza mostra un certa timidezza nell’elaborazione di questo criterio poiché, subito dopo aver fatto questa affermazione, i giudici unionali rilevano che la competenza all’accertamento dei fatti compete ai giudici nazionali i quali, nel caso di specie, avevano già qualificato la prestazione come “unica” (ancorchè, e qui si ritorna all’oscillazione di pensiero alla quale abbiamo fatto già cenno, tale qualificazione sembrerebbe essere stata riferita alla prestazione in senso “verticale”, piuttosto che a quella, qui davvero rilevante, in senso “orizzontale”).
Tuttavia, il pensiero della Corte di Giustizia si evolve in modo graduale e non è irragionevole presumere che l’affermazione sottolineata costituisca il primo tassello di una linea di sviluppo destinata a consolidarsi.
E ciò anche perché si tratta di un criterio che appare, in primo luogo, del tutto ragionevole e, in secondo luogo, sia coerente con quello adottato per le prestazioni accessorie, sia non confliggente con quello del “consumatore medio”.
Per quanto riguarda le prestazioni accessorie, infatti, la Corte ha specificato che la circostanza che queste non rappresentino “un fine a sé stante” deve essere apprezzata avendo riguardo alla prospettiva “della clientela”. Si è adottato, pertanto, anche in questo caso un approccio “soggettivo” ancora una volta consistente, in definitiva, nella considerazione dell’interesse che la prestazione intende soddisfare.
Il riferimento all’unitarietà, o meno, dell’interesse soddisfatto dalla prestazione (o dalle prestazioni) non è, poi, incompatibile con il criterio del “consumatore medio” perché quest’ultimo può fungere, in definitiva, come elemento segnaletico, ossia come mezzo per individuare – anche nell’ambito di quella valutazione «di insieme, [che tenga conto] dell’importanza qualitativa e non semplicemente quantitativa degli elementi» – se, nella singola ipotesi considerata, l’interesse perseguito sia effettivamente unitario.