Commento a Cass. civ., Sez. trib., sent. 12 novembre 2019, n. 29179
La sentenza in commento merita di essere segnalata non tanto per le sue affermazioni in tema di inerenza di un contratto di copertura di rischi su cambio (in particolare, si trattava di un contratto di interest rate swap), quanto per la corretta nozione di motivazione apparente che è in essa delineata.
Invero, sebbene la Corte Suprema di Cassazione colga l’occasione per ribadire alcuni principi in tema di inerenza, la loro enunciazione non assurge al ruolo di “principio di diritto” in quanto, avendo la Cassazione ritenuto (a mio avviso, del tutto correttamente) che la sentenza di appello era munita di una motivazione solo apparente, tali principi non attengono alla corretta sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta. Una sussunzione in merito alla cui correttezza i giudici di legittimità si dichiarano impossibilitati a condurre alcuna verifica, in conseguenza del riscontrato vizio di motivazione.
Sono, viceversa, assai importanti e convincenti le affermazioni che la Corte fa in ordine ai requisiti che la motivazione della sentenza di merito deve soddisfare per potersi dire adeguatamente motivata.
Al riguardo, la Cassazione muove dal presupposto secondo cui la motivazione deve essere tale da consentire, nell’ambito del giudizio di legittimità, «un controllo sul percorso logico e sulla correttezza del ragionamento seguito dal giudice regionale».
È da questo principio che discende, poi, la concreta indicazione dei caratteri propri di una sentenza motivata in modo non apparente.
La Corte Suprema di Cassazione li enuncia in termini negativi (ossia individua le ipotesi di motivazione apparente), ma non occorre un soverchio sforzo per esprimere tali requisiti in termini positivi.
In particolare, secondo la nozione di motivazione non apparente che emerge dalla sentenza in commento:
1) la motivazione può esprimere l’adesione al contenuto dell’atto di parte (il ricorso o l’appello o l’atto difensivo di controparte) o l’adesione alla stessa sentenza impugnata in modo specifico e non generico;
2) tale specificità consiste nella precisa individuazione, innanzi tutto, della tesi sostenuta in tale atto e, in secondo luogo (e soprattutto), deve consistere nella puntuale indicazione «delle ragioni di tale condivisione»;
3) nell’esprimere tali ragioni di condivisione, peraltro, il giudice di merito deve anche dare conto, sia dei motivi per i quali una certa tesi è ritenuta corretta, sia delle ragioni per le quali sono ritenute insufficienti «le critiche mosse dalla controparte – a maggior ragione dall’appellante»;
4) quando la condivisione, poi, dipenda dal valore persuasivo dei documenti allegati da una parte, i giudici di merito non possono limitarsi ad affermare che tali documenti sono ritenuti sufficienti a fondare il loro convincimento; pur non potendosi dubitare della libertà del convincimento del giudice nel valutare i mezzi di prova, tale libertà è controbilanciata da un onere motivazionale che impone di esplicitare non solo il fatto che, in dipendenza di quei documenti, il convincimento è stato raggiunto (ossia non solo l’an), ma anche e soprattutto come ciò sia avvenuto (cioè anche il quomodo) e, quindi, quali specifici documenti siano stati ritenuti muniti di adeguato valore persuasivo e «la ragione giuridica o fattuale che il giudice abbia ritenuto di condividere».
Si tratta, a ben vedere, di poche regole, ma altrettanto basilari in quanto l’omessa osservanza di anche una sola di esse determina certamente, secondo le condivisibili indicazioni della Cassazione, la nullità della sentenza per violazione dell’obbligo di motivazione correttamente inteso.
Certo è che, se tali regole verranno osservate puntualmente nello scrutinio delle sentenze di appello, è difficile immaginare che vi sia un numero elevato di esse destinato a sopravvivere alla censura di error in procedendo di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.